L’Italia alla prova del Vento

Lungo il fiume Reno, confine naturale tra Francia e Germania, c’è una rete cicloturistica. Lungo il fiume Danubio, che attraverso mezza Europa prima di sfociare nel Mar Nero, pure. Lungo il fiume Po, principale arteria navigabile italiana, no. Se ne parla da anni, ma finora non si è mai fatto nulla per favorire la mobilità leggera e sostenibile.

Da qualche tempo, però, sembra esserci qualcosa di concreto: un progetto del Politecnico di Milano che riguarda l’intera pianura padana, a partire dal nome: “Vento”. Si tratta dell’acronimo di Venezia-Torino, le due città che verrebbero congiunte dal tracciato lungo 679 chilometri. Vento costerebbe solo ottanta milioni di euro: quanto un chilometro di autostrada. Ma soprattutto, Vento è il segno di un’idea – finora visionaria – che vuole superare i particolarismi locali che troppo spesso caratterizzano l’Italia sia a livello culturale che politico.

Naturalmente, il tracciato è una scelta: include qualcosa ed esclude qualcos’altro. Tuttavia, l’obiettivo di questo progetto è innanzitutto morale: dovrebbe essere la risposta alta del Paese per provar a superare i confini di un comune e di una regione, oltre le barriere inutili e i conflitti di competenza. Nel concreto, però, le scelte comportano delle responsabilità, in particolare nei confronti dell’ambiente. Stabilire le caratteristiche di quest’opera è anche un esercizio per verificare l’interesse della cittadinanza verso le infrastrutture al servizio di tutti. Per farlo, è necessario coinvolgerla attivamente nelle scelte politiche, e non lasciarla come mera destinataria delle decisioni prese da dirigenti spesso incompetenti.

Quella della mobilità sostenibile è una delle sfide decisive per il rilancio economico dell’Italia, e una regione come la Lombardia, solitamente considerata la locomotiva del Paese – nel bene e nel male – non può rischiare di perderla. “Mancano 200 chilometri di autostrade e strade veloci in Lombardia. Occorre potenziare la rete per accelerare i trasferimenti”. È davvero così? Oppure è meglio puntare sul trasporto interzonale e ottimizzare quanto esiste già?

I presupposti del progetto Vento sembrano andare, appunto, nella direzione opposta rispetto alle recenti dichiarazioni del governatore Roberto Maroni.

Innanzitutto, si tratta di un percorso che garantisce il minor numero di interruzioni e tratti da realizzare ex novo, a costo di allungare il tragitto, ma con l’indiscutibile vantaggio di minimizzare i costi utilizzando il più possibile ciò che c’è già.

Inoltre, una garanzia di sicurezza per tutti i ciclisti. Gli incontri con auto, camion e moto devono essere ridotti al minimo, soprattutto a beneficio delle fasce più deboli. Tuttavia, ciò non preclude la flessibilità, anzi la esalta: la volontà di stare sempre a ridosso delle altre linee di trasporto (soprattutto la ferrovia) permette a chiunque di scegliere per quale tratto pedalare, per poi spostarsi su altri mezzi in caso di necessità.

Infine, last but not least, il bisogno di tutelare l’ambiente, sia in città che in campagna. La bellezza è una delle ricchezze del nostro Paese, e valorizzarla attraverso quattro Regioni è il valore aggiunto di una rete cicloturistica tutta italiana. In alcuni punti il paesaggio sarà più degradato, ma probabilmente il fatto di esporlo alla vista di tutti sensibilizzerà ulteriormente l’opinione pubblica su un tema così importante come la sua tutela.

L’investimento per Vento garantirebbe un ritorno anche in termini economici: il cosiddetto “cicloturismo”, dati alla mano, paga. In Germania, ad esempio, si parla di 3,9 miliardi di euro all’anno. Nel caso padano, sarebbero più di 10.000 le aziende agricole potenzialmente interessate dal percorso e che potrebbero trarre benefici dalla sua frequentazione. Con una ricaduta di 2.000 posti di lavoro e ottanta milioni di euro. Tutto ciò senza deturpare il territorio, ma anzi sfruttandolo positivamente e valorizzandolo. Facendo conoscere, a italiani e stranieri, un fiume martoriato e con un ecosistema largamente compromesso.

Come coinvolgere i cittadini in queste scelte? Con il ricorso, ad esempio, al referendum comunale / provinciale / regionale.

Le modifiche alla rete viaria, l’istituzione delle isole pedonali, la realizzazione delle cicloturistiche sono solo alcuni degli argomenti per i quali un’associazione come CittadinanzAttiva propone l’istituzione di referendum consultivi o propositivi. È preciso dovere delle amministrazioni pubbliche, sulle problematiche di interesse generale più importanti, ascoltare il parere di chi è coinvolto in maniera diretta e personale.

Del resto, non sono necessari interventi radicali per migliorare il rapporto tra mobilità e ambiente in Italia. Per costruire una città a misura di bicicletta, la giusta politica non consiste in bike-sharing, piste ciclabili e rastrelliere. Come dimostra il dossier l’A-bici della ciclabilità, realizzato da Legambiente, per rendere una città pedalabile bisogna agire sull’intera mobilità (e non soltanto su una parte di essa), perché ciclisti, pedoni e trasporto pubblico crescono dove andare in auto diventa l’opzione più scomoda e meno concorrenziale e dove c’è garanzia di sicurezza per gli utenti più vulnerabili.

Le piste ciclabili non devono essere la strada più comoda che ha un sindaco per propagandare la mobilità sostenibile della propria città, senza guardare negli anni successivi se quell’infrastruttura ha effettivamente ridotto il numero di chilometri percorsi in auto e fatto crescere quelli percorsi in bici.

Per essere un mezzo di trasporto a tutti gli effetti, la bicicletta deve potersi spostare da un qualsiasi punto a un altro (nel caso di Vento da una qualsiasi città a un’altra) senza impedimenti e interruzioni, ma allo stato attuale ciò è impossibile in Italia. In tutto il Paese, infatti, i percorsi dedicati alle due ruote ci sono, ma sono spesso spezzettati e scarseggia la programmazione organica.

Gli esempi virtuosi non mancano, ma provengono purtroppo dall’estero: Bilbao, ad esempio, ha rigenerato gli spazi urbani passando da grigia città industriale a nuova realtà ecologica. Rendendo scomodo lo spostamento motorizzato (strade più strette, limiti di velocità severi, tariffe di parcheggio elevate), l’amministrazione ha visto subito salire tanta gente su  biciclette e mezzi pubblici, nonostante un territorio pieno di saliscendi.

La chiave sta dunque negli interventi leggeri: quasi una metafora del tipo di mobilità che dovrebbe caratterizzare i cittadini del Terzo Millennio. Niente grandi opere e manovre finanziarie, servono strategie sul lungo termine e investimenti mirati che  diano voce al territorio. Sfruttando, magari, la riforma delle Città Metropolitane per rendere i grandi centri urbani espressione reale della collettività: assemblee e consigli di quartiere che decidano sulla declinazione concreta delle politiche comunali e regionali, consultazioni off-line e on-line sulle scelte delle amministrazioni pubbliche, responsabilità personale dei governanti.

L’ambiente ringrazierebbe, e anche la democrazia.

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