Scienza e Società insieme nella comunicazione. Parte 1

Rischio e incertezza: comunicare con cura

Mettiamo subito in chiaro una cosa: non esiste un modo univoco e perfetto di comunicare. E non esiste un codice della comunicazione valido per tutte le situazioni. La comunicazione istituzionale, ad esempio, è più standardizzata, mentre un giornalista che informa e va a caccia di notizie si muove su un terreno più libero.

A chi spetta, quindi, l’onere di comunicare il rischio?
“La comunicazione del rischio è, prima di tutto, una materia istituzionale – dice Giancarlo Sturloni, tra i maggiori esperti del campo in Italia – e ha lo scopo principale di salvare vite umane.”

E quali sono i principi fondanti di un buona comunicazione del rischio?
“All’istituzione si richiede di essere trasparente, di non sminuire i rischi, di offrire una guida all’emergenza fornendo messaggi coerenti e dando indicazioni chiare su come proteggersi. Nella pandemia di COVID-19, le istituzioni di riferimento sono l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) e, per l’Italia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS)”

Come lavora una istituzione per gestire una emergenza?
“Per poter lavorare al meglio, le istituzioni preparano piani di azione e di comunicazione in previsione di future emergenze. Dopo l’epidemia di SARS del 2003, l’OMS ha richiesto a tutti di stilare un piano pandemico nazionale, per prepararsi ad affrontare una pandemia. Il messaggio dell’OMS è stato chiaro fin da quel momento: bisogna tenersi pronti perché una nuova pandemia arriverà; non sappiamo quando, ma sappiamo che succederà.”

Che tipo di comunicazione ha proposto l’OMS durante la pandemia?
“L’OMS ha mandato svariati messaggi negli anni, tutti con la stessa intenzione: ricordare al mondo che una pandemia da coronavirus è probabile e che molti non sono pronti ad affrontarla. Aveva anche ipotizzato vari scenari, ma tra un modello e la realtà c’è una grossa differenza e ci saranno sempre elementi imprevisti. Entra quindi in gioco l’incertezza, che è connaturata ad un rischio emergente: dal punto di vista comunicativo, è importante riconoscere che esiste un grado di incertezza ed è necessario sbilanciarsi, a scopo cautelativo, verso lo scenario peggiore in modo da prepararsi ad ogni evenienza. In generale, l’OMS ha rispettato queste linee guida, finendo anche per essere accusata di eccessivo allarmismo, come successo per le epidemie di ebola e zika. Bilanciare la
comunicazione tra precauzione e avvenimenti reali è la vera difficoltà di questo lavoro.”

Quando si danno linee guida comportamentali, quali schemi vengono seguiti?
“Dipende molto dalla cultura e dalla struttura governativa di un paese: abbiamo visto situazioni in cui si è intervenuto in maniera molto invasiva sulla libertà e situazioni in cui invece il lockdown è stato molto meno severo. In questi casi, una comunicazione efficace evita comunque toni paternalistici e rassicuranti: senza cooperazione, la gestione di un’emergenza non funziona, quindi è necessario fare leva sulla responsabilità delle persone, ben sapendo che comunque una fetta di irresponsabili esisterà sempre; questo è insito nell’animo umano.”

E sull’approccio della comunità scientifica verso il pubblico cosa possiamo dire?
“Quando si lavora nell’incertezza, non si possono avere tutte le risposte. Di fronte ad un problema incognito, è importante dire “non lo sappiamo”. Questo approccio è spesso mancato, perché dallo scienziato ci si aspetta sempre la risposta pronta, e lo scienziato stesso preferisce girare intorno ad una domanda piuttosto che ammettere la sua ignoranza.
È necessario ridare valore a ciò che non sappiamo”

Che rapporto c’è tra comunicazione istituzionale e comunicazione mediatica?
“Ad oggi, la comunicazione è principalmente non mediata: se funziona la comunicazione istituzionale, allora, a cascata, funziona anche quella più informale. Nel caso della comunicazione mediata, invece, se l’istituzione fa un buon lavoro allora il giornalista può limitarsi a informare e aggiornare i cittadini”

Cosa è mancato nella comunicazione della pandemia e cosa abbiamo imparato?
“La comunicazione del rischio è una materia relativamente nuova: comunichiamo in situazioni di emergenza fin da quando l’uomo preistorico sfuggiva dalla tigre dai denti a sciabola, ma abbiamo dei principi chiari e condivisi da circa 30 anni. Anche per questo mancano i professionisti del settore, che sappiano applicare i codici stabiliti e sappiano dare una voce unitaria a tutte le istituzioni coinvolte. In Italia è mancato un coordinamento tra sistema sanitario, politica e scienza: si è navigato a vista senza un piano preciso e con una evidente incapacità di prendere decisioni su dati affidabili.
Purtroppo non abbiamo imparato molto dalla pandemia, non è emerso nulla di nuovo rispetto alle difficoltà e alle sfide della comunicazione del rischio: abbiamo assistito per l’ennesima volta al ripetersi di errori ben noti e a situazioni in cui i principi non sono stati seguiti. Gli scenari peggiori non sono stati resi pubblici e non c’è stata trasparenza nella condivisione di informazioni, con una conseguente perdita di fiducia verso le istituzioni; è mancata coerenza e il cittadino si è trovato spesso spaesato di fronte a messaggi tanto diversi. All’inizio il rischio è stato sminuito e i famosi aperitivi in centro a Milano di fine febbraio sono un esempio lampante di questo errore.”

Un’istituzione che si ponga come obiettivo la salvaguardia della salute e delle vite umane non può prescindere da una comunicazione di qualità, sia in periodi tranquilli che in periodi di emergenza. Dotarsi di strumenti e personale che possano trasmettere ai cittadini messaggi chiari, coerenti e trasparenti è importante tanto quanto sviluppare nuove terapie: comportamenti corretti della popolazione possono, infatti, salvare vite umane esattamente come lo fanno i medicinali. La pandemia ci ha messo di fronte ai nostri limiti e alle nostre debolezze, ma ci sta anche concedendo di imparare dai nostri errori: fare comunicazione di qualità non è solo un esercizio di stile, ma un valido strumento per migliorare la vita delle persone. Il messaggio è partito forte e chiaro, speriamo sia stato recepito altrettanto chiaramente.

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Autore:Riccardo Lucentini

Nato a Foligno nel 1989 e laureato in Chimica nel 2013. Dopo alcuni anni passati a fare il topo di laboratorio, mi impegno a divulgare la mia materia tramite laboratori e conferenze. Iscritto al Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile (MaCSIS) all’Università Milano-Bicocca per fare della mia passione una professione

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