Astronomia = meraviglia e curiosità

Quanti di voi, magari durante una notte estiva trascorsa in montagna, hanno alzato almeno una volta lo sguardo al cielo rimanendone affascinati? Penso di non sbagliarmi se scrivo tutti, o quasi tutti: sicuramente vi sarete chiesti che cosa è quella debole banda biancastra che attraversa tutto il cielo, o come si chiama quella stella così luminosa posizionata proprio sopra le nostre teste, o se siamo soli nell’universo… Anche il grande astrofisico Stephen Hawking era fermamente convinto del fascino che l’astronomia inevitabilmente esercita sulle persone: “Remember to look up at the stars and not down at your feet. Try to make sense of what you see and wonder about what makes the universe exist. Be curious. And however difficult life may seem, there is always something you can do and succeed at. It matters that you don’t just give up.” che tradotto in italiano significa “Ricordati di guardare in alto verso le stelle e non in basso verso i tuoi piedi. Cerca di dare un senso a ciò che vedi e chiediti cosa fa esistere l’universo. Sii curioso. E per quanto la vita possa sembrare difficile c’è sempre qualcosa che puoi fare e in cui avere successo. L’importante è non arrendersi”.

Con questa citazione Hawking ci sta praticamente indicando quale è l’essenza dell’astronomia: meraviglia e curiosità. E su questi due elementi occorre fare leva per comunicarla al grande pubblico, agli studenti, ai curiosi. L’astronomia infatti è una scienza multidisciplinare, perché abbraccia fisica, matematica, storia, arte, letteratura, tecnologia, informatica… e forse è proprio questa multidisciplinarità a renderla così accattivante. Vi faccio un esempio: ogni tanto qualcuno, quando vede una delle mie astrofotografie, tipo quella della Grande Nebulosa di Orione allegata a questo scritto, si chiede meravigliato come faccio a farle, assolutamente convinto che si possano ottenere con uno scatto singolo della fotocamera dello smartphone, esattamente come per le foto diurne riprese durante le vacanze o i selfie con gli amici in pizzeria, tanto per fare due esempi semplici. Questa persona, in assoluta buona fede, molto probabilmente non ha nozioni relative alla tecnica astrofotografica, e quindi ragiona diciamo per analogia, cercando di paragonare una cosa che conosce bene (la fotografia diurna ripresa durante le vacanze) a una fotografia di un tipo diverso come quella astronomica, per cui giustamente si domanda se si può ottenere semplicemente con un mezzo già in suo possesso: lo smartphone.

Allora spiego a questa persona che ottenere queste astrofotografie non è affatto semplice come si potrebbe pensare: innanzitutto non si possono ottenere con uno scatto singolo dello smartphone, perché tipicamente i soggetti delle foto astronomiche, tranne Luna, Sole e pianeti, sono nebulose molto deboli o galassie e ammassi stellari invisibili ad occhio nudo, e la fotocamera dello smartphone non è così sensibile. Per ottenere certi tipi di astrofoto occorre un telescopio, che è in grado di raccogliere molta più luce sia rispetto ai nostri occhi sia rispetto alla fotocamera dello smartphone. Inoltre c’è un’enorme mole di lavoro: innanzitutto occorre allestire la postazione osservativa con telescopio, camera astronomica, computer, e già soltanto questo richiede circa un’oretta di tempo. E già su questo primo
punto sulla faccia del mio interlocutore compare un’espressione di sommo disappunto. Una volta che si accende il tutto, non è così scontato che tutto funzioni al primo colpo: magari in quel momento lì il portatile con Windows decide d’ufficio che deve fare gli aggiornamenti, e non ci si può far nulla. Finiti gli aggiornamenti, può capitare che ci si accorga che il computer non veda la camera astronomica e mille altri problemi: ed è qui che l’astronomia incontra l’informatica, perché per far funzionare il tutto
bisogna conoscere anche un po’ di informatica. Una volta che il sistema funziona, occorre acquisire diversi scatti tutti uguali del soggetto che si vuole riprendere, in questo caso la nebulosa di Orione, e infine darli in pasto ad appositi software per la post produzione. E questo è un processo tutt’altro che lineare, perché magari non si è soddisfatti del primo risultato, per cui si ricomincia da capo: soltanto dopo svariate ore di post produzione si otterrà il risultato finale.

Tutto questo per dire che qualcosa di simile avviene anche nella scienza in generale: magari un esperimento pensato per studiare un determinato fenomeno non si rivela adatto, oppure porta a scoperte del tutto inattese che mai più si sarebbero immaginate. Oppure ancora bisogna riiniziare da capo perché ci si è accorti di un errore e così via. Quindi va bene comunicare il risultato finale di una scoperta o di un esperimento, ma forse è ancora più importante e interessante raccontare come si è arrivati a un certo risultato, perché è proprio la conoscenza del processo e tutto quello che sta dietro che può suscitare curiosità verso la scienza.

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