Rapporti tra genetica e linguistica

Quante cause in meno ci sarebbero nei tribunali, quanti scontri, quante discussioni potremmo risparmiarci se anche l’udito come altri nostri sensi avesse il tasto di spegnimento.

Potremmo dormire senza essere disturbati dai lavori stradali, leggere un libro senza doverci isolare o cantare a squarciagola senza temere che il vicino di casa ci senta; ma dovremmo mettere in conto di non avvertire i pericoli attorno a noi, di non sentire la sveglia, il campanello, il telefono o il pianto di un bambino affamato; insomma avremmo un’intera società da riprogrammare.

Evidentemente questa capacità di ricevere suoni ed emetterli a qualcosa deve esserci servita. Lo dimostra il fatto che l’uomo,  l’animale parlante secondo Aristotele,  è l’unico animale in grado di  dominare il pianeta e  soggiogarlo (oggi è il caso di dirlo) alle proprie volontà.

Quasi tutti gli animali hanno una forma di linguaggio, più o meno complessa o articolata cioè una capacità di creare sistemi di comunicazione; nel caso dell’Homo sapiens questa si è tradotta in una capacità cognitiva di astrazione e nella produzione di un numero potenzialmente illimitato di frasi a partire da un insieme chiuso e distretto di mattoncini di base [1]. Tutti i membri della stessa specie condividono un certo tipo di linguaggio.

Le lingue invece sono una delle possibili manifestazioni del linguaggio, dei codici simbolici di cui l’uomo dispone per comunicare. [1]

Nel mondo oggi si parlano circa 5000 lingue più o meno distanti tra loro e in continua evoluzione; è possibile pensare che abbiano tutte tratto origine da una sola lingua madre?

L’idea che lingue diverse fossero in realtà tra loro imparentate venne sviluppata fin nel tardo Settecento da Sir William Jones che trovò somiglianza tra il Sanscrito, il Latino e il Greco; un secolo dopo August Schleicher propose un modello ad albero genealogico per mostrare le parentele tra le diverse lingue.  Nello stesso periodo altri studiosi, utilizzando metodi comparativi, stabilirono delle connessioni tra le diverse lingue; questo metodo ha rivelato una connessione stretta tra circa 150 lingue della famiglia Indoeuropea, alcune delle quali apparentemente distanti come l’hindi, il russo, l’inglese e l’Iraniano [2]. Ma fino a che punto ci possiamo spingere?

Se ripercorriamo la storia dell’uomo, sfruttando il lavoro di Luca Cavalli-Sforza, Anthony Edward e Alberto Piazza condotto a partire dai gruppi sanguigni,  scopriamo che l’intera umanità discende geneticamente da un gruppo che circa 130.000 anni fa risiedeva in Africa centrale. Da lì si spostò prima, 80-90 mila anni fa, alla volta dell’Indonesia e dell’Australia, poi, 40 mila anni fa, verso il medio oriente  e 20-30 mila anni fa arrivò a conquistare l’intero continente americano.

Cosa possiamo dire della lingua? Che i dati in nostro possesso non ci permettono di risalire a prima di 5000 anni fa ossia prima delle più antiche forme di scrittura a noi pervenute.

Esistono tuttavia delle strade da percorrere che possono darci un’idea del grado di parentela esistente  tra le diverse lingue. Uno dei metodi utilizzati è quello di confrontare le radici lessicali di alcuni significati rappresentativi come ad esempio “io”, “testa”, “noi”, applicando a questi fonemi la stessa metodologia utilizzata per studiare le parentele genetiche.

Il risultato è che secondo alcuni tra i più importanti linguisti, come ad esempio Joseph Greenberg e Merritt Ruhlen,  si può ricostruire un albero evolutivo delle famiglie linguistiche che presenta forti correlazioni con l’albero evolutivo genetico delle popolazioni, anche se non si tratta di corrispondenze biunivoche.

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 Figura 1:

Corrispondenza fra la mappa delle diversificazioni dei popoli e l’albero di diversificazione delle famiglie linguistiche dell’umanità.

Su che basi possiamo insinuare che la diversificazione genetica sia imparentata con quella linguistica? Il vantaggio evolutivo di una comunicazione efficace è sotto i nostri occhi; citando Cavalli-Sforza “L’uomo ha potuto avere un’evoluzione molto rapida perché ha sviluppato la cultura più di tutti gli atri animali. Infatti la cultura può essere considerata un meccanismo di adattamento all’ambiente straordinariamente efficiente.”[3]  Le lingue permettono di adattarsi all’ambiente circostante tramandando l’esperienza acquisita nei diversi habitat ed è ipotizzabile, seppure non scientificamente provabile  (per mancanza di dati), che seguano la lenta differenziazione genetica delle popolazioni.

Il diversificarsi delle popolazioni lungo i diversi territori conquistati avrebbe pertanto portato con sé piccole differenze linguistiche alimentate dalla mancanza di scambi con la popolazione d’origine. La distanza geografica si traduce quindi anche in distanza linguistica spesso determinata dalle esigenze imposte dall’habitat.

I disallineamenti tra gli alberi evolutivi linguistici e genetici come ad esempio nel caso dei lapponi, degli etiopi e dei tibetani sono probabilmente da ricondurre ad alcuni flussi migratori che hanno portato ad uno scollamento tra albero evolutivo genetico e lingua parlata dalle popolazioni.[4]

Esistono infatti dei meccanismi di evoluzione linguistica molto differenti  (e spesso molto più veloci)  rispetto a quelli genetici: il canale di trasmissione della lingua non prevede necessariamente un grado di parentela ed è spesso soggetto a regole sociali, a espansione, conquista o controllo economico da parte di un’altra popolazione dominatrice.

Un caso interessante e molto studiato è quello dell’Indoeuropeo nato secondo una prima ipotesi dall’invasione di Europa, Persia e India da parte di una popolazione nomade proveniente dalla regione a nord del Mar Nero e Mar Caspio, mentre da una seconda ipotesi da una popolazione agricola dell’Anatolia.

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Figura 2:

 L’albero genealogico delle lingue Indoeuropee secondo August Schleicher

Con il trascorrere dei millenni, secondo quanto sostenuto da  William Jones già nel Settecento,  l’Indoeuropeo  si differenziò in Latino, Greco, Sanscrito, Gotico e alcune lingue celtiche. [5]

In Europa tra le poche lingue sopravvissute all’Indoeuropeo troviamo ad esempio l’Ungherese e il Basco.

Secondo alcuni studiosi l’Indoeuropeo a sua volta trarrebbe origine da una lingua ancora più antica  (chiamata Nostratico), che lo accomuna all’Uralico (parlato nel nord-est Europa), il nord africano, il Dravidiano (parlato nel sud dell’India) e l’Altaico (proveniente dal centro Asia).

Bisogna tuttavia fare attenzione a non cristallizzare lo stato attuale delle lingue attorno all’idea di una stato finale dell’evoluzione. Ad esempio siamo soliti pensare che il latino sia una lingua ormai estinta; in realtà il latino si è semplicemente evoluto trasformandosi  e adattandosi a diversi habitat e diverse società.

Allo stesso modo esiste oggi una famiglia di lingue “neoinglesi” che traendo origine dall’inglese britannico se ne discostano per motivi geografici  (perché parlato in America, Australia  e Africa) e quindi per ibridazione con popolazioni e società diverse, portando ad una continua e inesorabile evoluzione e diversificazione.

A fronte della scarsità di dati in nostro possesso che non ci permettono di risalire ad un’età precedente i 5000 anni or sono, la linguistica si deve avvalere quindi di metodi multidisciplinari che ne permettano indagini complesse ed estremamente interessanti:

Il linguaggio è un’innovazione a un tempo biologica e culturale, poiché le basi anatomiche e fisiologiche che lo rendono possibile si sono evolute genericamente, per selezione naturale” (L.L. Cavalli –Sforza, Geni, popoli e lingue).

Bibliografia:

[1]  N. Grandi, Homo sapiens – La grande storia della diversità umana.

[2] E. Pennisi , Speaking in tongue, Science Vol 303 27 February 2004

[3] L.L. Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura,Codice , Torino 2004 pp. 77-78

[4] L.L. Cavalli-Sforza , Genes, peoples and languages (1997) Proc. Natl. Acad. Sci. USA 94, 7719–7724.

[5] L.L. Cavalli Sforza, Homo sapiens – La grande storia della diversità umana

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