Una “razza” unica al mondo

Non esistono razze umane. La comunità scientifica di genetisti e antropologi e tutto il mondo accademico sono ormai concordi su questo punto. Eliminare la parola “razza” per rigettare qualsiasi forma di discriminazione: in questa direzione si è mossa, nel maggio del 2013, l’Assemblea Nazionale di Parigi per l’abolizione della parola “razza” dalla legislazione francese.

Già nel 1950 l’UNESCO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) approvò, proprio a Parigi, il primo documento in cui si negava ogni legame tra differenze fenotipiche nelle razze umane e le differenze delle caratteristiche intellettive e psicologiche: “In base alle conoscenze attuali non vi è alcuna prova che i gruppi dell’umanità differiscano nelle loro caratteristiche mentali innate, riguardo all’intelligenza o al comportamento”.

E sempre l’UNESCO, qualche anno dopo (siamo nel 1978) votò all’unanimità la “Dichiarazione sulla razza”, il cui primo articolo recitava: “Tutti gli esseri umani appartengono alla stessa specie e provengono dallo stesso ceppo. Essi nascono uguali in dignità e diritti e fanno tutti parte integrante dell’umanità”.

Nel 2014 Olga Rickards e Gianfranco Biondi, sulla scia degli avvenimenti francesi, furono i primi a sollevare il tema in Italia. Nel 2016, una mozione approvata dall’Associazione Antropologica Italiana (AAI) e dall’Istituto Italiano di Antropologia (IsItA) riportava queste parole: “Il concetto di “razza” è risultato essere non appropriato a descrivere la diversità biologica all’interno della nostra specie (Homo sapiens)” (http://www.scienzainrete.it/files/20170601Antropologi.pdf).

Di nuovo, all’inizio di quest’anno, le associazioni e le società scientifiche italiane degli antropologi ritornano a far sentire la loro voce su questa tematica sottoscrivendo un documento e facendo appello alla politica in vista delle elezioni tenutesi lo scorso 4 marzo. Nel documento possiamo leggere: “si condanna qualsiasi uso strumentale di categorie che sono al tempo stesso prive di fondatezza dal punto di vista genetico e potenzialmente discriminatorie, quali le “razze umane” o le “culture essenzializzate” (ovvero intese come unità definite e rigide), nel discorso scientifico, in quello pubblico e nelle pratiche sociali” (https://antropologiaapplicatadotcom3.files.wordpress.com/2018/01/razza-e-dintorni.pdf).

Anche in Italia si è aperto il dibattito sul tema dell’eliminazione del termine “razza” dalla nostra Costituzione, in particolar modo dall’Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Oggi, dal momento che per l’Homo sapiens la “razza” non ha giustificazioni biologiche, è un termine che ha perso il suo significato originario. Ma dobbiamo ricordare che la Costituzione Italiana è figlia di un particolare periodo storico: si usciva dal disastro della seconda guerra mondiale e dalla drammatica esperienza delle leggi razziali e, in un contesto del genere, aveva senso negare fermamente ogni discriminazione che si basasse sul concetto di “razza”. Ma è sufficiente eliminare una parola per eliminare anche tutto quello che a essa sottende?

Se ne parlerà il prossimo 17 maggio, a ottant’anni esatti dall’uscita del Manifesto della razza, all’Università di Milano-Bicocca, in occasione del convegno “Razza. Scienze naturali e sociali di fronte a una questione costituzionale”, durante il quale si approfondiranno alcune posizioni di scienziati naturali, sociali e giuristi sull’argomento.

Parlare il più possibile di questo tema, per smuovere le acque della pubblica opinione e per sensibilizzare le coscienze di tutti. Ma, come afferma la comunità degli Antropologi, si può essere razzisti anche escludendo l’esistenza delle razze umane. Esistono infatti anche altre accezioni del razzismo, di uso colloquiale o non pienamente appropriato: assumere atteggiamenti di intolleranza, di insofferenza, di pregiudizio e di discriminazione nei confronti di persone con cultura, religione, sesso, sessualità, aspetto fisico, regione di provenienza o altre caratteristiche diverse dalle nostre. È giusto mandare un messaggio forte in tal senso, andando a modificare la nostra Costituzione, ma bisognerebbe impegnarsi a 360 gradi contro ogni forma di discriminazione.

 

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