Riscaldamento globale: una perturbazione all’equilibrio

“Warming of the climate system is unequivocal”
(IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change)

“Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile”
(Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico)

Così si apre il quinto rapporto dell’IPCC, pubblicato nel 2013. L’IPCC [1] è un’organizzazione fondata nel 1988 dalla WMO (World Meteorological Organization, in italiano OMM: Organizzazione Meteorologica Mondiale) e dall’UNEP (United Nations Environment Programme, ovvero Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) ed è composta attualmente da 195 Stati membri. Si occupa di raccogliere, studiare e presentare lo stato dell’arte per quanto riguarda le ricerche e le conoscenze scientifiche sul cambiamento climatico, che riguardano ad esempio le cause, gli impatti sull’uomo e sull’ambiente, i rischi a cui si andrà incontro e le proposte operative per ridurli. L’obiettivo è quello di fornire ai governi le informazioni scientifiche necessarie per sviluppare in modo adeguato le proprie politiche climatiche, pubblicando periodicamente rapporti ufficiali. Ad oggi i rapporti (report) sono 5 in totale, reperibili sul loro sito; il sesto è in fase di preparazione e uscirà nel prossimo anno (2021).

L’IPCC è suddiviso in tre gruppi lavorativi: il gruppo I si occupa delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici, il gruppo II degli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e umani, delle possibilità di adattamento e della loro vulnerabilità, e il gruppo III della mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè delle possibili azioni per ridurre o prevenire le emissioni di gas serra o per rimuoverli dall’atmosfera.
In questo articolo ci dedicheremo al lavoro del primo gruppo, approfondendo alcuni aspetti delle cause scientifiche dei cambiamenti climatici.

Nell’apertura del quinto rapporto del primo gruppo di lavoro non si ribadisce solo l’evidenza inequivocabile del riscaldamento globale, ma se ne riconosce anche la sua principale causa: “la scienza ora mostra con il 95% di confidenza che l’attività umana è la causa principale del riscaldamento osservato da metà del ventesimo secolo.” [2] Le evidenze osservative sono molte e varie: “il riscaldamento dell’atmosfera e degli oceani, la diminuzione di nevi e ghiacci, l’aumento del livello del mare e l’aumento della concentrazione di gas serra. Negli ultimi trent’anni si è assistito ad un progressivo riscaldamento della superficie terrestre più che in qualsiasi altra epoca dal 1850.” [2]

Due immagini

Uno dei grafici più chiari e “inequivocabili”, appunto, è quello prodotto dal GISS (Goddard Institute for Space Studies) della NASA (Figura 1). Esso mostra come dal 1950 circa ad oggi vi sia stato un evidente incremento di temperatura media globale. Il grafico rappresenta la variazione della temperatura dal 1880 al presente (2020), rispetto alla media del periodo 1951-1980. La linea nera è la media annuale globale e la linea rossa è una media su 5 anni ottenuta con un’operazione di lowess smoothing. La banda grigia è l’incertezza annuale a un livello di confidenza del 95%.
Ciò che è chiaro da questo grafico è che la temperatura media è aumentata di quasi 1°C.
Se prendiamo come riferimento il dato riportato dall’IPCC risalente al decennio 2006-2015, la variazione di temperatura media superficiale globale era di 0.87°C, con un range di confidenza tra 0.75°C e 0.99°C.
Se si assume anche per i prossimi anni lo stesso rate di riscaldamento globale, prendendo un periodo di 30 anni centrato nel 2017 si può stimare un aumento di 1°C, con un range di confidenza tra 0,80°C e 1,20°C (dato presente nel report speciale dell’IPCC “Global warming of 1.5°C [3]).


Figura 1: Variazione della temperatura media globale dal 1880 al presente (2020), rispetto alla media del periodo 1951-1980. Credit: GISS-NASA,
https://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v4/

Un’altra grafica sufficientemente esplicativa è la mappa della variazione della temperatura media sulla superficie terrestre. In Figura 2 è rappresentato l’ultimo fermo-immagine della versione animata (reperibile al sito https://svs.gsfc.nasa.gov/4787).
A colpo d’occhio si nota la tendenza della gamma cromatica verso i colori arancione/rosso.

Figura 2: Variazione della temperatura media globale negli anni 2015-2019

Come si è giunti a questo punto?

Il tema è vasto e la risposta a questa domanda contiene numerose sfaccettature. Quel che ora è certo è che dietro all’anomalo riscaldamento globale ci sia la mano (più o meno consapevole) degli esseri umani, che a partire dalla rivoluzione industriale della fine del XIX secolo sono stati in grado di modificare in modo sostanziale il sistema climatico terrestre.
Nell’ambito del presente articolo ci concentriamo su una delle cause nelle quali l’uomo sta giocando ora un ruolo fondamentale, ma che in realtà è sempre esistita sul nostro pianeta: l’effetto serra.

La Terra è calda, ma non è mai stato un problema…

L’effetto serra non è né specifico del nostro pianeta né dannoso di per sé, anzi ha permesso alla Terra di avere una temperatura superficiale sufficientemente adatta alla vita degli esseri viventi sulla crosta terrestre. Altri pianeti, per la conoscenza odierna, non ne hanno abbastanza, come Marte (dall’atmosfera troppo rarefatta) o ne hanno troppo, come Venere.
L’effetto serra infatti è un processo fisico che può avere luogo nell’atmosfera di un pianeta. L’atmosfera è composta da molecole con specifiche caratteristiche. Nel caso del pianeta Terra nell’atmosfera si trovano prevalentemente Azoto (N2, circa il 78%), Ossigeno (O2, circa il 21%) e in piccola parte Argon (Ar, circa lo 0,9%). Lo 0,1% rimanente è composto da altri gas, come diossido di carbonio (CO2, più comunemente detto anidride carbonica), metano (CH4), vapore acqueo (H2O).
Ogni pianeta del nostro sistema solare riceve energia dal Sole, ovvero radiazione, che produce luce e calore. La radiazione solare si distribuisce su tutto lo spettro elettromagnetico, ma solo alcune tipologie di radiazione, caratterizzate da specifici range di lunghezze d’onda, vengono immesse in atmosfera. Tale energia entrando nell’atmosfera interagisce con essa, venendo in parte assorbita e in parte riflessa nello spazio, anche grazie alle nubi. Una terza parte della radiazione entrante giunge alla superficie del pianeta, dove viene sempre in parte assorbita, in parte riflessa. Quest’ultima di nuovo interagisce con l’atmosfera.

Ogni interazione modifica la tipologia della radiazione: quella che proviene direttamente dal Sole è sostanzialmente radiazione UV (ultravioletta), luce visibile e radiazione IR (infrarossa). Invece, ad esempio, la superficie terrestre irradia solo IR in un range tipicamente tra 4 e 100 μm (micrometri). Si dice che la superficie degrada la radiazione entrante a energie minori. È proprio quest’ultima radiazione che al posto di tornare nello spazio si “ferma” in atmosfera dove viene assorbita dalle molecole presenti nella troposfera (la parte di atmosfera più vicina alla superficie, fino a 10-15 km di altezza) e riemessa di nuovo sotto forma di calore, energia che in gran parte va a scaldare la superficie.
Le interazioni tra radiazione e atmosfera avvengono a livello molecolare, e i gas presenti assorbono più o meno radiazione.
I gas più comuni in atmosfera (N2, O2 e Ar) tendenzialmente non assorbono radiazione, a causa della loro struttura molecolare.
Altre strutture invece sono predisposte per assorbire la radiazione IR e riemetterla, trattenendo quindi energia (calore) nella troposfera, senza che questa possa risalire agli strati superiori. È questo il caso, ad esempio, di CO2, CH4 e H2O.
C’è da dire che senza il loro contributo sulla Terra non si starebbe così bene: se non trattenessero il calore riflesso dalla superficie, la temperatura media sarebbe di -18°C, al posto che 15°C.

Questi e simili gas sono detti “gas climalteranti” o “gas serra”.
Essi possono o forzare il cambiamento climatico in modo diretto (come la CO2) oppure in modo indiretto (come il vapor d’acqua) agendo con meccanismi chiamati di “feedback”.
Per misurare scientificamente quanto e come tali gas alterino la situazione di equilibrio esiste una grandezza apposita chiamata fattore di forza radiativa (RF “radiative force”).
Essa è una misura del bilancio energetico del sistema Terra in risposta a qualche perturbazione esterna.

Figura 3: Rappresentazione semplificata dell’effetto serra. Credit: NASA/JPL-Caltech

…fino ad ora

Dal quinto report IPCC si legge che “le sostanze naturali e antropogeniche che modificano il bilancio energetico della Terra sono le cause fisiche del cambiamento climatico. La forza radiativa quantifica la perturbazione di energia immessa nel sistema terra causata da questi fattori. Forze radiative maggiori di zero portano a un riscaldamento della superficie terrestre, e forze radiative minori di zero portano a un raffreddamento”. [2]
L’aumento sostanziale di gas serra nell’atmosfera terrestre, (il livello di concentrazione attuale è senza precedenti almeno da 800 000 anni) ha contribuito all’aumento di temperatura registrato fino ad oggi. Gli aumenti più evidenti dal 1750 sono quelli di anidride carbonica, di metano e di ossido di azoto.
Il vapore acqueo è senza dubbio il maggior responsabile dell’effetto serra, ma non può essere annoverato tra i gas responsabili dell’aumento dell’effetto.
Sempre dal quinto report dell’IPCC si legge la principale responsabile dell’aumento di temperatura media è la concentrazione atmosferica di CO2, che ha fatto aumentare la forza radiativa del sistema climatico durante gli anni 2000.

Occorre ora fermarsi per approfondire questo aspetto. L’immissione in atmosfera di CO2 c’è sempre stata (così come l’effetto serra), fa parte del naturale ciclo del carbonio dell’ecosistema terrestre. Troviamo CO2 non solo in atmosfera, ma anche negli oceani, nei terreni e nei fossili. Nel processo ciclico che regola la concentrazione di anidride in atmosfera è protagonista la fotosintesi clorofilliana degli organismi vegetali, che facendo reagire la CO2 con l’acqua grazie all’energia solare, producono sostanze organiche e ossigeno.
L’anidride carbonica è poi riemessa in atmosfera tramite il meccanismo della respirazione.
Questo ciclo, all’apparenza tanto semplice quanto fondamentale per la vita degli organismi terrestri, contribuisce a mantenere un cosiddetto equilibrio dinamico. L’aggettivo “dinamico” sta a indicare che non è importante la quantità fissa delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, o di altri gas serra, ma lo è il mantenimento dell’equilibrio globale dell’intero ciclo.

Quello che sta succedendo da circa un secolo a questa parte è che questo equilibrio dinamico viene perturbato soprattutto per uno squilibrio di emissioni e di azioni da parte degli esseri umani. Ne sono un esempio le ingenti quantità di emissioni antropiche di CO2 e degli altri gas climalteranti, che si accumulano in atmosfera a un rate talmente elevato che è impossibile per il sistema terrestre rispondere in modo adeguato, cioè smaltire tutti i gas in eccesso.
Si potrebbe inserire in questo contesto anche l’importanza delle foreste, ma è un argomento da trattare con attenzione. Da una parte, l’attività di deforestazione è dannosa per il ciclo naturale del carbonio; dall’altra bisogna considerare che cosa prenda il posto delle foreste. Se infatti viene utilizzato il legno in quanto biomassa, si può evitare l’emissione di CO2 da combustibili fossili, a patto che al posto dell’albero tagliato ne venga ripiantato un altro. Si può parlare quindi di un ciclo chiuso e di emissioni, al netto, nulle, ma solo sul lungo periodo. [4]

Tonando alle emissioni antropiche di gas climalteranti, il risultato è che questi gas si fermano in atmosfera e lì vi rimangono, a seconda dei loro tempi di smaltimento. Tra tutti, il peggiore da questo punto di vista è sempre la CO2.
A tal proposito, scrive Stefano Caserini, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, in un articolo per il blog Climalteranti.it, di cui è coordinatore scientifico: “Anche se il tempo medio di residenza di una molecola di CO2 nell’atmosfera è di circa 3 anni, va considerato che una volta assorbita dall’oceano la stessa molecola può essere riemessa nell’atmosfera. Di conseguenza il tempo di residenza di una parte consistente delle molecole di CO2 nell’intero sistema aria-oceano-biosfera, considerando anche lo scambio con i carbonati solidi della Terra, è molto più lungo, dell’ordine di circa 100.000 anni.”  [5]
Il problema dunque è complesso: anche se il tempo medio di vita in atmosfera di CO2 è relativamente contenuto, non bastano quei pochi anni per rimuoverla davvero.
Le emissioni antropiche di carbonio, che hanno portato a concentrazioni così elevate di CO2, sono dovute sia all’uso di combustibili fossili da parte degli esseri umani, sia ai loro cambiamenti del terreno (alle già citate deforestazioni si possono aggiungere le coltivazioni agricole intensive).

Gli altri gas serra non presentano questa particolare caratteristica, ma non per questo sono da trascurare.
Un esempio è il metano, il quale è emesso soprattutto dalle attività agricole, dagli allevamenti e dalle discariche. Ha un tempo di vita di circa 12 anni, e si può intervenire in positivo per ridurne le emissioni antropiche, agendo sui tre fattori citati.
Oppure, la fuliggine (“black carbon”): residui di combustioni incomplete, le più comuni sono quelle di motori diesel (che stanno via via venendo sostituiti) o forni a legna. Le particelle di carbonio che la costituiscono non solo sono dannose per la salute umana e animale se respirate, ma possono anche assorbire il calore solare agendo da sostanze climalteranti. Fortunatamente il loro tempo di vita è più breve e possono essere rimosse anche in modo naturale dalle precipitazioni. [4]

Conclusione

Si potrebbe approfondire nel dettaglio l’analisi degli altri gas serra, o di tutte le cause antropiche note che ci hanno portato dove siamo ora, a quel “+1°C” così apparentemente innocuo, ma non è l’intenzione di questo articolo. Si è voluta portare l’attenzione sulle cause scientifiche del problema, per capirne innanzitutto la complessità di analisi e il nostro contributo come esseri umani.

Tutto ciò porta in conclusione anche a uno spunto di riflessione riguardo alla nostra presenza sulla Terra. Appurato che non siamo noi a riscaldare la Terra, ma che essa anzi (sfruttando un’impropria personificazione del nostro pianeta) sa “tenersi al caldo” perfettamente da sola, grazie a meccanismi di mantenimento di un equilibrio dinamico, quello che stiamo facendo è invece perturbare eccessivamente questo sistema, che quindi non riesce più a riadattarsi alle nostre modifiche.
Tale atteggiamento denota una sorta di prepotenza[1] degli esseri umani nei confronti della loro attuale casa, la Terra, che non si sono costruiti da soli, né hanno in alcun modo contribuito a far esistere. Se la sono semplicemente ritrovata sotto ai piedi.

[1] Prepotenza denunciata non solo dalla comunità scientifica, ma anche da persone che apparentemente non hanno a che fare con le decisioni scientifiche, come Papa Francesco, che nella sua Enciclica Laudato si’ scrive (par. 11): “Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea.”

Bibliografia

Fonti citate nel testo

[1] https://www.ipcc.ch/
[2] IPCC, 2014: Climate Change 2014: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change.
[3] https://www.ipcc.ch/sr15/
[4] Caserini, Stefano. Il clima è (già) cambiato. s.l. : Edizioni Ambiente, 2019.
[5] https://www.climalteranti.it/2020/07/30/quanto-a-lungo-rimane-la-co2-in-atmosfera/


Altre fonti

https://climate.nasa.gov/
https://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v4/
https://ilbolive.unipd.it/it/cambiamento-climatico-colpa-uomo
https://www.ipcc.ch/report/ar5/wg1/
https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2018/02/WG1AR5_all_final.pdf
https://www.ipcc.ch/sr15/
https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2018/02/SYR_AR5_FINAL_full.pdf

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