Affari tossici

“Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?
“E il mare?”
“Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte…”
(Intercettazione di un dialogo tra due boss [1]).

Il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, in particolar modo quelli industriali, sono tra i business illegali più redditizi. Sono i maggiori campi d’azione delle ecomafie, organizzazioni criminali, generalmente di tipo mafioso, le cui attività arrecano danni all’ambiente. Tra l’altro, come è emerso da diverse inchieste, ai traffici di rifiuti si sono spesso intrecciati quelli delle armi.

Nelle reti di soggetti che compiono reati ambientali si possono anche trovare imprese private, amministratori locali, tecnici senza scrupoli e organi di controllo corrotti. Infatti, il traffico dei rifiuti è strettamente connesso al sistema criminoso della corruzione ambientale, che appare radicata nella politica, nell’amministrazione e nell’economia [2].

L’intero business dell’ecomafia dell’ultimo anno, secondo il “Rapporto Ecomafia 2016” di Legambiente, ammonterebbe a 19,1 miliardi di euro, di cui lo 0,8 % legato a corruzione ambientale, l’1,6% all’inquinamento e il 25,4% ai rifiuti speciali. Da gennaio 2015 a maggio 2016 sono state bloccate 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti illegali (una quantità pari a 141000 tir!), mentre da febbraio 2002 a maggio 2016 ci sono state 314 inchieste legate ai traffici illeciti di rifiuti, 7437 denunce, 1602 arresti, 871 aziende coinvolte su un totale di 35 stati esteri oltre all’Italia [3].

L’illegalità ambientale è presente in misura diversa in tutte le regioni, a parte la Valle d’Aosta: da un minimo di 0,4% in Molise, 0,6% in Umbria e 1% in Trentino a un massimo di 15,6% in Campania, 14,6% in Sicilia e 9,7% in Calabria.

Pratiche di corruzione, frode ed evasione fiscale percorrono il territorio nazionale, da nord a sud, e tutte le fasi del ciclo dei rifiuti: produzione, trasporto e smaltimento. Può essere dichiarato il falso sulla quantità o la tipologia di sostanze da smaltire, il carico può essere dirottato o fatto sparire, oppure l’operazione può essere affidata a imprese che lavorano sottocosto, ben sapendo che i metodi da loro utilizzati difficilmente saranno a norma [4]. Il nostro Paese è anche il crocevia di traffici internazionali di materie radioattive e rifiuti pericolosi provenienti da altri Paesi: anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di sicurezza ambientale e sanitaria vengono nascosti e, così, corrompono l’aria, inquinano le falde acquifere e contaminano le coltivazioni agricole, minacciando la salute dei cittadini.

Sin dagli anni Settanta, complice la carenza legislativa nazionale e internazionale, l’Italia fa ricorso al dumping ambientale per liberarsi dei propri rifiuti industriali. Negli anni Ottanta le proteste degli ambientalisti e dei principali destinatari delle sostanze più velenose e più costose da smaltire, i Paesi del Sud del Mondo, spingono le Nazioni Unite e i Paesi esportatori a riprendersi una certa quantità di rifiuti per rimediare, in parte, al disastro internazionale. I mezzi di trasporti utilizzati per questa operazione vengono chiamati “le navi dei veleni”, mentre le cosiddette “navi a perdere” sono scafi affondati volutamente insieme al loro carico velenoso. Il Mar Mediterraneo è la vittima prediletta del doppio atto criminale delle navi a perdere, dove in un colpo solo si truffa l’assicurazione e si fa piazza pulita di scorie tossiche e radioattive. Senza lanciare alcuna richiesta di soccorso, semplicemente senza motivo, le navi scompaiono dai radar insieme ai loro equipaggi e ai loro carichi sospetti. Fino ad oggi non si è mai recuperato nessuno dei relitti affondati nelle zone più profonde del mare e nessuno sa con certezza quali misteri nascondano [4].

La Terra dei Fuochi, l’area a cavallo delle province di Napoli e Caserta, è probabilmente il territorio più martoriato dai traffici illeciti di rifiuti e dall’estrema pericolosità dell’ecomafia. Una terra ignorata per decenni, anche a 17 anni dall’inserimento del sito nel programma nazionale di bonifica. Anche dopo essere diventata incomprensibilmente di competenza della Regione, nel 2013. Un Piano regionale di bonifica che non ha mai garantito risultati concreti. Poi, nel 2014, è arrivato il decreto legge “Terra dei Fuochi” per fronteggiare l’emergenza, ma il problema è stato sottovalutato e nella maggior parte dei casi non sono cominciate o addirittura non sono state previste le attività di risanamento delle falde fortemente contaminate, le procedure di analisi nelle aree agricole e le bonifiche dei terreni sulle quali incombe, tra l’altro, il rischio di infiltrazioni ecomafiose. Nonostante le rassicurazioni governative, l’illegalità continua tra roghi, tombamenti e corruzioni, e i rischi sanitari sono sempre più evidenti [5].

Non bisogna andare nelle regioni del Sud Italia, o in Veneto o in Liguria, per avere notizie del trattamento illegale di rifiuti. È stato di recente scoperto un traffico di fanghi agricoli in Lombardia, tra Lodi, Cremona e Pavia, l’ultimo di una lunga serie. Sono stati i cittadini esasperati dai cattivi odori a dare il via alle indagini [6].

Il delitto di “attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti” è stato approvato nel 2006 e sono sempre più numerose le sentenze della Cassazione che se ne occupano, definendone i contorni in modo molto più ampio rispetto all’applicazione alle sole fattispecie in cui la gestione dei rifiuti è operata da gruppi criminali [7]. Ora, grazie alla nuova legge che introduce i delitti ambientali (ecoreati) nel codice penale, approvata nel maggio del 2015, si può punire chi inquina e rendere più incisiva l’azione di prevenzione e contrasto dell’illegalità ambientale.

“ …Per una corretta e migliore applicazione di questa legge, è importante mettere in campo un’azione di formazione che coinvolga tutti gli attori del sistema di repressione dei reati ambientali, dai magistrati alle forze dell’ordine e ai tecnici dell’Arpa, e procedere alla costituzione di una grande polizia ambientale sempre più strutturata e diffusa sul territorio che faccia tesoro delle migliori esperienze maturate dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato negli ultimi decenni” dice Stefano Ciafani di Legambiente [8].

Finalmente, stanno arrivando i primi segnali di un’inversione di tendenza, ma non basta.

È necessario migliorare la tracciabilità dei rifiuti, nonché adottare misure fiscali ed economiche per incentivare il recupero di materia, valorizzando al massimo il Green Public Procurement. Devono esserci controlli più stringenti e coordinati sui flussi transfrontalieri, definendo modelli di analisi dei rischi e standard di controllo uniformi presso ciascun Paese membro [8]. Servono chiarezza e trasparenza sullo stato di contaminazione dei vari territori, in modo che anche i cittadini abbiano tutte le informazioni necessarie. Inoltre, è essenziale che sia sempre forte la denuncia dei problemi irrisolti o nascenti, fino a che non si saranno ottenute risposte reali e risolutive. Accanto alle rivendicazioni, infine, è altrettanto importante portare avanti un’azione di valorizzazione e di tutela delle terre e delle acque [9].

 

Bibliografia e sitografia:

1  www.navideiveleni.it

2  https://it.wikipedia.org/wiki/Ecomafia

3  Legambiente, “Ecomafia 2016 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale”

4  http://www.navideiveleni.it/navi-a-perdere/storia.php

5  Legambiente, “Terra dei Fuochi: a che punto siamo? Il dossier di Legambiente”, 10/2/2015

6  Legambiente, “Legambiente su traffico illecito di rifiuti in Lombardia”, 12/7/2016

7  http://industrieambiente.it/traffico-illecito/

8  Federconsumatori, “Rifiuti, Legambiente su traffico illecito fanghi: emergenza nazionale”, 19/7/2016

9  Legambiente, “Progetto Civic: presentate le Linee guida per contrastare le illegalità ambientali nelle tre filiere studiate e monitorate dal progetto”, 13/7/2016

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