Il clima del giorno dopo: quattro domande a Elisa Palazzi e Isabella Pratesi

Abbiamo raccolto delle domande dei ragazzi che non siamo riusciti a porre ai relatori durante il convegno “Il clima del giorno dopo”: ecco alcune delle risposte.

Elisa Palazzi

1 – Come possono due gradi creare così tanti problemi climatici? Se la temperatura dovesse aumentare di due gradi che temperatura percepiremmo noi? 

Una risposta immediata sarebbe: basta guardare agli effetti che ha già provocato un innalzamento della temperatura media globale di 1°C, per capire cosa succederebbe con 2°C! Pensa anche che 1°C medio sta a significare valori più elevati (anche il doppio) in alcune regioni come l’Artico, o le montagne o il mediterraneo (per diversi motivi, legati anche al fatto che il clima è molto complesso e una piccola perturbazione può dar luogo a conseguenze significative e a effetti a catena in alcune regioni). Quindi il problema è capire quali effetti sugli ecosistemi, e di conseguenza su noi esseri umani, potrebbero derivare da un innalzamento della temperatura media globale ancora più elevato, ovvero 2°C, rispetto alla prima metà del 1700, quando inizia il periodo industriale. Questo è esattamente quello che la scienza del clima cerca di fare con i modelli climatici e di impatto. Per esempio, nel rapporto IPCC 1.5°C (qui il riassunto per i decisori politici in italiano) si analizzano proprio gli effetti dell’innalzamento globale di temperatura di 2°C a fine secolo, e li si confronta con ciò che accadrebbe se si riuscisse a limitare l’aumento di temperatura a 1.5°C (mettendo in evidenza che mezzo grado risparmiato farebbe un sacco di differenza!). 
Ad esempio, con +2°C anziché +1.5°C, raddoppierebbe la probabilità di essere esposti alle ondate di calore ogni 5 anni.  Per maggiori informazioni su questo tema, si può consultare lo special report dell’IPCC.
La temperatura percepita, cui si fa riferimento nella domanda, non è un parametro oggettivo e quindi non viene usato in climatologia. È una misura della sensazione di caldo avvertita, in media, dall’essere umano. Si ottiene combinando (in vari modi) due grandezze misurate effettivamente: l’umidità relativa e la temperatura. Perché si considera l’umidità? Perché l’uomo possiede un importante meccanismo attraverso il quale regola la sua temperatura corporea: la sudorazione. Quando si suda, l’evaporazione del sudore a contatto con la pelle sottrae calore al nostro corpo e quindi lo raffredda. Ma se c’è troppa acqua in atmosfera, ovvero se l’aria è troppo umida, allora il sudore non riesce ad evaporare. La possibilità di evaporare dipende quindi sia dalla temperatura che dall’umidità atmosferica: tanta più umidità c’è nell’aria, meno sudore evapora dalla nostra pelle (e noi ci rinfreschiamo meno). Per questo, quando oltre ad essere caldo è anche umido, avvertiamo una sensazione più opprimente.

2 – Come le innovative ricerche scientifiche in Antartide possono aiutare l’uomo a comprendere i cambiamenti climatici e quindi a ridurre il rischio di mutamenti drastici?

Gli ambienti polari, come l’Antartide, sono molto importanti per capire lo stato di salute del pianeta, ed è per questo che c’è preoccupazione intorno alla possibilità di riduzione delle missioni di ricerca dovuta all’emergenza sanitaria (come si legge nell’articolo che segnala Lorenzo). Le regioni polari sono sentinelle del cambiamento climatico: è proprio in quelle zone, apparentemente imperturbabili, che il cambiamento climatico si enfatizza e mostra più chiaramente i suoi effetti. Queste regioni sono quindi in grado di lanciare un allarme sullo stato di salute del pianeta.
Per esempio, l’ambiente marino antartico è sempre stato caratterizzato dalla presenza di esseri viventi altamente specializzati per sopravvivere in acque gelide, e l’ecosistema in cui si sono sviluppati è rimasto molto stabile molto a lungo. La rapida modificazione del clima (aumento della temperatura, acidificazione dei mari) unita ad altri cambiamenti ambientali (aumento degli inquinanti, arrivo di specie invasive, pesca intensiva) sta tuttavia mettendo a dura prova le capacità di adattamento di alcune di quelle specie. Diversi gruppi di ricerca portano avanti campagne di misura e di studio in Antartide per meglio fotografare e capire i cambiamenti in corso.
Un altro aspetto importante è che, come l’Artico, anche l’Antartide svolge un ruolo essenziale per il clima del nostro pianeta a tutte le latitudini; e in particolare la presenza di ghiacci in quelle zone è importante per regolare il clima terrestre. Il movimento delle acque oceaniche antartiche influenza tutto il pianeta, quindi i cambiamenti in Antartide possono avere ripercussioni globali.

3 – Un evento estremo riguardo allo scioglimento dei ghiacciai potrebbe essere quello di non avere più a disposizione l’acqua dolce?

I ghiacciai in montagna sono importanti perché sono la riserva a breve e lungo termine di acqua per le regioni di pianura, soprattutto nella stagione calda e secca. Dalla neve e dai ghiacci montani che fondono, infatti, deriva l’acqua che noi utilizziamo per uso potabile, per irrigare e per produrre energia. Quindi sì, quello dell’approvvigionamento idrico è uno dei principali problemi legati al ritiro dei ghiacciai, che potrà portare anche conseguenze sociali, come conflitti per l’acqua e/o migrazioni.
Tutti i ghiacci del pianeta sono importanti, non solo quelli sulle montagne. Quelli che si trovano ai poli, in Groenlandia e in Antartide per esempio, sono anche un archivio preziosissimo di informazioni sulla storia del clima terrestre che si ricostruisce dall’analisi delle carote di ghiaccio. In generale, i ghiacci sono anche importanti perché tengono al fresco il pianeta, dato che la loro superficie bianca riflette la luce del sole e le impedisce di essere assorbita dal terreno (o dal mare): questo non è più vero se il ghiaccio fonde. Man mano che il ghiaccio scompare, il mondo si scalda sempre più.

4 – È vero che per mantenere in vita il sistema del web si produce una grande quantità di anidride carbonica?

Dai PC agli smartphone ai tablet … anche le tecnologie informatiche e il web contribuiscono alle emissioni di CO2 e, quindi, hanno un impatto sul clima. È stato stimato che tutto il settore ICT (Information Communication Technology) contribuisce al 2% delle emissioni totali di CO2, a causa soprattutto dei consumi energetici.
Ma un contributo viene anche dalla produzione dei vari dispositivi che oggi usiamo: dall’estrazione, in terre come l’Africa, dei minerali che servono per l’elettronica all’uso della plastica di cui son fatti, o al confezionamento del prodotto finale: tutti i passaggi richiedono un uso massiccio di risorse e di energia. Usare poco o moderatamente questi oggetti non è facile, è vero, ma ricordiamoci che per ogni messaggio inviato, foto scaricata o gioco installato, in qualche centro dati anche lontano (e oggi ancora poco alimentato da energie rinnovabili) si sta facendo uso di tanta energia e quindi si stanno producendo tante emissioni climalteranti. Nel nostro piccolo cosa possiamo fare? Per esempio, dobbiamo tenerci il cellulare finché va e non finché esce il modello più nuovo o più bello, e poi smaltirlo con cura quando arriva a fine vita.

Isabella Pratesi

1 – Non trovo correlazione tra malattie infettive e inquinamento, come spiega la peste antecedente all’inquinamento?

La correlazione tra malattie infettive e inquinamento è ancora molto da studiare; ci sono alcune ricerche che sembrerebbero correlare le polveri sottili con una maggiore diffusione del virus Sars-Cov-2. È però sicuramente vero che alcune malattie infettive (come è stato dimostrato per la Covid-19) possono essere più aggressive e letali in persone debilitate dall’inquinamento ambientale e in particolare dalla cattiva qualità dell’aria. Trattandosi di una polmonite, è chiaro infatti che se i polmoni sono già stressati e compromessi da polveri sottili e altre sostanze inquinanti, possono essere più facilmente aggrediti dal coronavirus.

2 – È vero che la pandemia Covid-19 è dovuta al riscaldamento globale? È una manifestazione della condizione tragica del surriscaldamento?

In realtà la correlazione tra Covid-19 e riscaldamento globale non è stata ancora accertata in maniera così diretta. Il 75% delle nuove malattie zoonotiche emergenti (ovvero le malattie trasferite dagli animali all’uomo) sono collegate alla distruzione degli ecosistemi e degli equilibri ecologici: siccome il riscaldamento globale incide sul clima, che a sua volta incide sugli ecosistemi, deteriorandoli, si può dire che il riscaldamento locale può facilitare la diffusione di malattie infettive.

3 – Cosa ne pensa del libro Spillover, che tratta il medesimo argomento?

È un libro straordinario che ho letto appena uscito. In Spillover David Quammen anticipava di ben otto anni quello che sarebbe successo se l’umanità avesse continuato nel suo cammino di distruzione delle foreste e degli altri ecosistemi. Nessuno lo ha ascoltato, e oggi ci troviamo in questa drammatica pandemia.

4 – Cosa può fare una persona comune come uno studente delle superiori, nel piccolo della sua quotidianità, per contribuire alla mitigazione climatica? Oltre alle azioni, quali campagne mondiali ci sono per il cambiamento climatico?

Tutti noi possiamo fare moltissimo per aiutare il clima e fermare la crisi climatica. Come primo consiglio c’è sicuramente quello di fare il possibile per non utilizzare combustibili fossili (in primis petrolio e carbone) e per evitare di mangiare carne e derivati (pelle ma anche uova formaggi latte ecc.) derivanti da allevamenti intensivi o importati dal Sud America. Dobbiamo infatti evitare di distruggere le foreste che sul pianeta ci proteggono anche dai cambiamenti climatici e dalle loro conseguenze. Sul sito del WWF puoi scaricare un report che parla di come i nostri consumi possono distruggere le foreste e accelerare la crisi climatica.

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