Il nucleare non sarà decisivo per la crisi energetica

Siamo nel pieno di una crisi energetica: il prossimo sarà un inverno molto duro per i paesi europei, costretti a razionare gas ed elettricità. Per rispondere a questa emergenza, in Italia e in Europa si parla sempre più di nucleare. L’energia atomica però presenta ancora molte criticità, difficilmente superabili nei tempi necessari ad arginare la crisi climatica.

Un inverno alla canna del gas

La guerra scoppiata alle porte dell’Europa ha esasperato alcuni dei problemi che caratterizzano il sistema di produzione e distribuzione dell’energia oggi. Dipendere da pochi fornitori provenienti da un numero ancora più ristretto di paesi per la produzione della propria energia prima o poi porta a delle crisi. È successo con il petrolio negli anni settanta, ora sta succedendo con il gas russo. Ora, con la guerra, la riduzione del gas russo lascia un vuoto energetico evidente.

La transizione verso fonti di energia rinnovabili sta rallentando a causa di questi improvvisi cambi di piani ed emergono progetti come la riapertura di centrali al carbone in Germania e la costruzione di rigassificatori in Italia. Il nucleare, fonte di energia da poco inserita, a certe condizioni, tra quelle “sostenibili” nella tassonomia europea, viene spesso proposto come soluzione complementare alle energie rinnovabili (eolico, geotermico, idroelettrico, solare) per rispondere alla domanda crescente di energia senza accrescere dipendenze esterne. Restano però da chiarire molti dubbi riguardanti le modalità e i tempi di implementazione, soprattutto nel contesto italiano.

Il nucleare è verde come dice la tassonomia?

La Commissione Europea ha inserito l’energia nucleare, insieme al gas fossile (chiamato comunemente “gas naturale”), tra le fonti che ci aiuteranno a continuare la transizione energetica e che quindi dovrebbero essere incentivate. La decisione, osteggiata da sinistra ed ecologisti e sostenuta da centro e destra, è stata supportata dagli esperti del centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea. Le pressioni politiche per inserire l’energia atomica nella tassonomia sono arrivate principalmente dalla Francia, che ha un mix energetico con una forte presenza nucleare, mentre molti gruppi di ambientalisti, tra cui FFF, XR, Greenpeace, Legambiente e WWF, non hanno mancato di protestare contro questa scelta. Alla fine dello scorso giugno, il nucleare è stato ammesso all’interno delle fonti “sostenibili” in quanto utile nel corso della transizione ad un sistema completamente rinnovabile e decarbonizzato.

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Consumo di acqua (litri per Megawatt ora) per ciascun metodo di produzione di elettricità. Fonte: Jin, Y. et al. (2019)

Considerando tutta la filiera produttiva (non solo la vita operativa), secondo l’IPCC il nucleare ha un potere climalterante molto basso (12 gCO2eq/Kwh), più alto dell’eolico (11 gCO2eq/Kwh) ma più basso di idroelettrico (24 gCO2eq/Kwh) e fotovoltaico (48 gCO2eq/Kwh). Dati da confrontare con gli 820 gCO2eq/Kwh che vengono emessi per la produzione di energia a partire dal carbone. Anche il consumo di suolo per unità di energia prodotta, critico soprattutto per la produzione agricola, è piuttosto basso. Per quanto riguarda invece la radioattività, basti pensare – come rileva l’università della California – che una centrale a carbone rilascia più radioattività di una centrale nucleare funzionante.

Per contro, un aspetto critico del nucleare è la necessità di molta acqua per le operazioni della centrale, essendo la produzione di energia basata su un ciclo termodinamico. Il consumo di acqua è paragonabile a quello di carbone e petrolio e questa estate ha messo in crisi proprio il sistema energetico francese. Lo Stato ha dovuto spegnere alcune centrali a causa della carenza di acqua. La crisi idrica colpisce anche le rinnovabili: la Norvegia, una nazione fortunatissima dal punto di vista energetico perché è riuscita a costruire una rete che si approvvigiona del 90% dell’energia elettrica da idroelettrico, ha riscontrato cali di produzione rilevanti e inaspettati, come riferisce il Financial Times.

In Italia non c’è tempo per il nucleare

Per la transizione energetica il tempo stringe e la scelta atomica in paesi come l’Italia pare tardiva. L’urgenza di cambiare rotta rende poco realistica l’utilità del nucleare nel mix di produzione elettrica nazionale in Italia: basti pensare che prima che una centrale diventi operativa nel paese serviranno almeno 14 anni. Nel frattempo, la rete elettrica sarà profondamente cambiata (più diffusa, più flessibile) per raggiungere gli obiettivi climatici pianificati.

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Se problematiche come la sicurezza delle centrali e delle scorie che vengono prodotte possono essere risolte da ormai collaudate soluzioni ingegneristiche, restano altre criticità. Prima di tutto, le apprensioni dell’Agenzia  internazionale per l’energia (IEA) per quanto sta avvenendo nella centrale nucleare di Zaporizhzhia, tanto da spegnerne tutti e sei i reattori, mettono in luce quanto una centrale nucleare costituisca un obiettivo sensibile in situazioni di rischio come le guerre. Oltre a questo, proprio come le altre fonti di energia concentrate e centralizzate, forniscono un forte potere di negoziazione e influenza a chi ne ha il controllo. In una transizione energetica che punta invece alla creazione di reti flessibili di energia diffusa, idrogeno verde per l’accumulo e comunità energetiche, il nucleare sembra appartenere ad un modo di vedere l’energia ormai sorpassato.

L’uso del nucleare nel mix energetico mondiale potrebbe essere necessario per accompagnare almeno in parte la strategia di decarbonizzazione, come viene proposto nella maggior parte degli scenari energetici più conosciuti. Tuttavia, di fronte a una crisi di estrema urgenza, dispiegare altri reattori rispetto a quelli già esistenti significherebbe dover attendere troppo tempo. Come spiega Andy Stirling, Professore di Scienze e Politiche Tecnologiche presso la University of Sussex Business School, significherebbe anche che investimenti ingenti si sposterebbero dalle energie rinnovabili, sia per la loro messa in campo che per adattare la rete, al nucleare. Le necessità molto diverse di questi due modi di produrre energia causerebbero ritardi nelle azioni che arginano la crisi climatica.

Basandosi sullo scenario Net Zero Emissions della IEA (che prevede una quota di nucleare nel mix energetico globale) si può notare che altre fonti di energia, come per esempio le rinnovabili e in particolare solare ed eolico, sono più economiche sia in termini di costi di impianto che di gestione, e che potrebbero vedere i loro costi scendere ulteriormente negli anni a venire. Questo per la verità non toglie il fatto che è la stessa agenzia energetica internazionale ad approvare per certi paesi la piena ripresa dell’industria nucleare, come recentemente in Giappone, come osserva Piero Martin su La voce.info.

L’energia sta cambiando

L’uso dell’energia nucleare stava nettamente decrescendo negli ultimi anni, tanto che paesi come la Germania avevano in piano di chiudere tutte le centrali nucleari entro la fine dell’anno. Oggi, a causa della crisi Ucraina, la Germania sta facendo un passo indietro e conserverà accesi almeno per ora i tre reattori in funzione (6% della produzione di elettricità del paese) ancora per qualche tempo. Scelta, però, molto dibattuta, perché il gas viene usato soprattutto per il riscaldamento, mentre l’energia nucleare produce elettricità, e quindi risolverebbe solo parte dei problemi del prossimo inverno. La Germania ha cambiato strategia nucleare più volte e adesso si trova a fare i conti con un mercato in rapida evoluzione. Riaprire centrali a carbone, una delle altre opzioni valutate, non è la risposta giusta.

Ci saranno difficoltà nella transizione a un’Italia 100% rinnovabile? Certo. Nel report Nuclear Power in a Clean Energy System – Analysis – IEA si dice che compensare la parte mancante di nucleare con rinnovabili è tuttavia possibile, con più impegno e i giusti incentivi agli investimenti.

In presenza di siccità, caldo estremo e alluvioni dovute a piogge più rare ma più intense, dobbiamo comprendere come un cambio di mentalità e di abitudini è l’alternativa migliore che abbiamo in questo momento. Non si tratta solo di cambiare il modo in cui produciamo l’energia ma anche il modo in cui concepire la sua gestione. I prossimi anni vedranno infatti inevitabilmente un mercato diverso, pieno di attori e di scambi. In questo mondo, il nucleare appartiene forse ad un modello “vecchio” di produzione energetica, altamente centralizzato e concentrato. Entrare nel costosissimo gioco nucleare quando ormai il suo tempo sta finendo non sembra la scelta migliore.

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