La transizione energetica richiede l’utilizzo di materie prime che i report della Comunità Europea definiscono critiche in funzione dell’importanza economica e la difficoltà di approvvigionamento. Nei contesti dei singoli paesi è però importante anche identificare una strada realistica per la declinazione di un nuovo tipo di economia industriale improntata su questo importante cambiamento.
Le materie prime critiche identificate dalla Comunità Europea
Il 28 settembre 2022 il Ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, hanno firmato il decreto interministeriale che formalizza il tavolo tecnico “Materie Prime Critiche”. Il tavolo includerà – presumibilmente anche nel nuovo governo – istituzioni, centri di ricerca, consorzi di filiera e associazioni di categoria con gli obiettivi di rafforzare il coordinamento e formulare proposte utili alla creazione delle condizioni normative, economiche e di mercato volte ad assicurare un approvvigionamento sicuro e sostenibile[1].
Ma già dal 2008 l’Unione Europea ha ritenuto necessario monitorare tutte quelle materie prime (estrattive non energetiche, e non alimentari – così sono circoscritte le materie prime critiche) che per motivi economici, tecnici, naturali, e geopolitici potrebbero scarseggiare nel mercato e quindi limitare le economie a loro legate. Viene definita critica una materia prima che ottiene un rating superiore a un certo valore per importanza economica (EI) e rischio di approvvigionamento (SR – Supply Risk)[2] come si vede anche nella figura 1.
Se da un lato l’importanza economica è valutata in funzione dei settori che si avvalgono di questi materiali, della domanda del mercato e di quanto il settore è ritenuto strategico, il rischio di approvvigionamento è relativo alla disponibilità del materiale sulla crosta terrestre e la stabilità politica dei paesi di provenienza.
Il dato che risalta maggiormente è che nell’Unione Europea la disponibilità di materie prime critiche è molto bassa, al contrario di paesi come la Cina che ne hanno quasi il monopolio.
Alcuni esempi
Facciamo alcuni esempi[3]. Si stima che rispetto al 2020 il consumo di litio aumenti di venti volte nel 2030 e di sessanta nel 2050: il litio, infatti, è un componente primario per le batterie, strategiche sia per la mobilità elettrica sia per l’accumulo di energia proveniente da fotovoltaico ed eolico. Attualmente Cina, Africa e America Latina forniscono il 74% delle celle a ione di litio (componenti delle batterie), mentre solo la Cina fornisce il 66% del totale delle batterie al litio finite. Rispetto a questi numeri fa impressione l’apporto dell’Unione Europea, che si ferma solo all’ 1% della fornitura di batterie finite.
Il caso delle terre rare, divise in leggere e pesanti (HREEs – Heavy Rare Earth Elements e LREEs – Low Rare Earth Elements) è ancora diverso. Questa classe di elementi ha la particolarità di essere presente in piccole tracce diffuse su tutta la crosta terrestre, ma in concentrazioni poco rappresentative. Per questo vengono chiamate rare. Sono componenti fondamentali, ad esempio, per i magneti permanenti, usati sia per la mobilità elettrica che per le rinnovabili, dove i più importanti sono disprosio, neodimio e praseodimio. Si stima che il loro consumo aumenterà fino a dodici volte (disprosio) nel 2030. La vulnerabilità sul mercato per questi elementi è dovuta al fatto che la Cina estrae l’86% di questi elementi, e ne fornisce fino al 98%[4] raggiungendone quasi il monopolio.
Un altro esempio importante è il cobalto: un metallo di transizione, materia prima usata nelle batterie, nelle tecnologie eoliche e nelle celle a combustibile, che attualmente viene estratto per il 59% nella Repubblica Democratica del Congo e lavorato per il 49% in Cina (le altre percentuali sono molto basse e disperse fra molti paesi). L’instabilità politica in questo caso porta il fattore di rischio di approvvigionamento a valori molto alti.
Peraltro, i processi di estrazioni di questi materiali presentano criticità anche di altro genere. In alcuni stati, tra cui proprio il Congo, è stato infatti denunciato lo sfruttamento di lavoro minorile nelle miniere. Diversi enti internazionali, tra cui l’OCSE, continuano a monitorare e segnalare casi di questo tipo, tenendo a mente sia le condizioni umane che quelle ambientali quando si parla di estrazioni minerarie.
La gestione sostenibile delle materie prime
Non sempre gli interessi economici tengono conto dei diritti umani: la strategia europea riconosce che deve essere compiuto un grande lavoro di sensibilizzazione sugli attori di tutta la filiera produttiva, dal minatore all’utilizzatore finale, affinché la transizione energetica sia realmente sostenibile, e non continui ad alimentare le diseguaglianze che abbiamo visto finora. Non è utopia, ma una condizione a cui tendere senza ipocrisie e soprattutto senza cinismo.
L’Unione Europea ha accolto e analizzato tutti gli aspetti di una gestione sostenibile delle materie prime[5] e ha identificato dieci azioni indirizzate a gruppi di lavoro, enti e commissioni a livello europeo, con le quali si intende approfondire e lavorare su:
- alleanze strategiche con paesi fornitori di materie prime che garantiscano stabilità, sostenibilità ambientale e soprattutto legalità nelle forme di lavoro;
- investimenti in tutte le attività di ricerca, sia per i processi di riciclo (soprattutto di RAEE quali fonte preziosa di metalli di transizione) che per la ripresa di attività mineraria e di trasformazione sostenibile anche nei paesi della UE;
- sensibilizzazione della cittadinanza e della comunità scientifica nei confronti dell’importanza strategica delle attività estrattive, con conseguente ripresa delle conoscenze tecnico e scientifiche legate.
E l’Italia?
Come si pone l’Italia in questo grande gioco sull’approvvigionamento delle materie prime? Secondo lo studio condotto da Angelo Di Gregorio, presidente del CRIET (Centro di Ricerca Interuniversitario di Economia del Territorio)(iv) non benissimo… ll team di lavoro di Di Gregorio ha identificato le materie prime maggiormente importate per il settore industriale in base ai dati dell’ISTAT, definendole strategiche, e le ha confrontate con quelle critiche identificate dai report della Comunità Europea. Risultato: emerge una carenza importante delle materie prime strategiche. Infatti, nella lista stilata dal gruppo di lavoro del CRIET, la prima materia critica del report europeo compare solo al sesto posto nei consumi in Italia. Questo a sottolineare che l’industria italiana non ha ancora fatto il salto verso l’adattamento delle strutture alla produzione di tecnologie per le rinnovabili, e le motivazioni sono tecniche, economiche e politiche.
“È auspicabile che si affronti il tema della competitività economica sia in termini di costo dell’energia sia del costo del lavoro”, conclude Di Gregorio, “ma è altrettanto importante risolvere il problema dei ritardi burocratici che limitano i permessi per i processi di riciclo, affinché si possa velocizzare la transizione energetica”.
Riferimenti
[1] https://www.mise.gov.it/index.php/it/notizie-stampa/nasce-il-tavolo-tecnico-su-materie-prime-critiche
[2] https://rmis.jrc.ec.europa.eu/uploads/CRM_2020_Report_Final.pdf
[3] “Critical Raw Materials for Strategic Technologies and Sectors in the EU A Foresight Study” European Commission Report 2020
[4] Angelo Di Gregorio, Alessandro Cavallo, Cristina Lanzi, Mirella Morrone, Debora Tortora “Analisi del fabbisogno di materie prime critiche in Italia. La nuova sfida per le materie prime strategiche non energetiche” Esperienze di Impresa, V. 29, N. 1 (2021)
[5] https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/20214901_IT_002\_guida_estrazione_sostenibile.pdf