6(+1) donne che hanno cambiato il mondo

Un caldissimo venerdì di metà giugno. Nel retro del locale, un’apposita sala con tanto di palco e tendone; i colori del rosso scuro tipici dei teatri infiammano l’aria già incandescente. 

Gabriella Greison conquista il palco con qualche minuto di ritardo, raggiunge lo sguardo del pubblico a grandi falcate sui suoi tacchi, emergendo da dietro le quinte accompagnata da un sottofondo musicale molto energico. Lo spettacolo che ha in programma per noi questa sera è “Sei Donne che Hanno Cambiato il Mondo”, monologo teatrale tratto dall’omonimo libro. L’ARCI Bellezza di Milano la ospita a conclusione della Rassegna Teatrale “Femminile Plurale”, nel contesto del programma “LacittàIntorno” di Fondazione Cariplo, con l’intento di «sensibilizzare rispetto ai temi di emancipazione culturale e coesione sociale», oltre gli stereotipi di genere. Quale migliore contesto se non quello delle cosiddette “scienze dure” per poter mettere in luce le difficoltà che, storicamente e nel mondo attuale, la figura femminile ha dovuto e deve sopportare per riuscire a emergere in un mondo dominato da scienziati, rigorosamente uomini. 

La sala, non molto grande, con i tavolini disposti in file orizzontali dotati di due o tre sedie ciascuno, ospita noi spettatori accaldati e incuriositi. La musica accompagna anche i nostri applausi, che durano quindici, venti secondi, e piano piano si abbassa rimanendo come sottofondo. Gabriella indossa un vestito lungo e lucido, sembra raso, con la manica a tre quarti, che fa intuire quanto sarà una serata difficile: il caldo la farà sciogliere da lì a poco, nella sala non corre neanche un soffio di aria. Non uno sbuffo di vento. Pubblico e artista uniti sotto un grande affanno. Ella inizia il monologo scandendo le parole; ha un tono di voce molto alto e teatrale, tipico del suo stile. 

Il primo racconto è dedicato alla grande Marie Sklodowska, meglio conosciuta come Marie Curie. Nel giro di pochi secondi emerge già il taglio di denuncia che ha spinto Gabriella a fare esattamente il lavoro che fa oggi, la divulgatrice scientifica e la portavoce dei diritti delle scienziate, specie di quelle che la voce non l’hanno più. Marie: una donna, una madre, una laureata in discipline scientifiche, intenzionata a fare carriera in università, rappresentava uno scandalo a fine 1800 (e oltre). Nessuno meglio di Marie e della sua storia incarnano il cuore del problema, da cui insieme a lei solo poche altre nella storia uscirono vittoriose. Una scelta quindi forse scontata ma non di certo banale quella di utilizzare la famosa “polacca” come figura d’apertura; Marie è un’icona ormai anche nella cultura popolare e un simbolo di tenacia e perseveranza. Durante il monologo riguardante la vita della scienziata, un tema così importante viene sdrammatizzato con del sano sarcasmo: «[Marie e Pierre] passavano ore in quel laboratorio, chiusi dentro, non c’era una cappa di areazione, sembra… sembra qui all’ARCI Bellezza! Neanche una cappa di areazione!». Risate generali, lunghi applausi; la Greison poi conclude la parentesi simpatica dicendo: «Almeno qui non c’è il radio!». Infine, riprende il suo monologo da dove si era interrotta. Quello che più piace è la narrazione dei fatti ricca di particolari, ci immedesimiamo tutti nel quotidiano delle protagoniste. Ci racconta come si viveva al tempo di Marie, l’impatto che ha avuto il radio nella vita dell’epoca, le usanze e i costumi legati a questa scoperta (le sigarette al radio, le radiografie fatte per individuare il numero di scarpa di una persona e molti altri esempi); e ancora le emozioni di questa donna rigida all’apparenza, le sue sensazioni più intime; Gabriella ci legge addirittura ad alta voce gli scambi epistolari tra Marie e i suoi affetti (tra cui Paul Langevin e Albert Einstein). Conclude la prima narrazione descrivendo la tragica fine di una signora così fiera e fragile allo stesso tempo, a cui tutti guardiamo con ammirazione mista a timore. 

Conclusa la storia di Marie, Gabriella viene ricoperta da intensi applausi e parte lo stacchetto musicale. Funziona così: al termine di ogni personaggio, Gabriella si volta dandoci le spalle qualche istante, con la musica in sottofondo, che via via sfuma. A quel punto, l’attrice riprende la parola mettendosi in un punto diverso del palco, in una posizione diversa: a volte seduta su una vecchia poltrona di scena, messa lì per l’occasione; a volte semplicemente ferma in piedi al centro del palco, come in questo caso. 

Il secondo personaggio è Lise Meitner. Fisica anch’essa, soprannominata da Einstein la “Marie Curie tedesca”, purtroppo non riuscì a vedersi assegnato il Premio Nobel che probabilmente meritava. Questa grande donna è delineata con fierezza e fervore; la divulgatrice ci racconta che scrissero sulla sua tomba “Lise Meitner, una fisica che non perse mai la sua umanità”, ed è proprio ciò che Gabriella riesce a far trasparire con le sue parole. Il motto che la Greison ha fatto proprio, che spesso scrive sui social e che riprende nel suo monologo precisamente quando parla di Lise, è “Non stare con chi non ti fa fiorire”. Dobbiamo combattere al fine di poterci creare uno spazio sereno nel mondo, dove poter stare in pace con noi stesse, libere e indipendenti. L’empatia è veramente molta. 

La terza scienziata è Hedy Lamarr, pseudonimo di Hedwig Eva Maria Kiesler, una bellezza ultraterrena, tanto che essa è più famosa per la sua carriera da attrice che per essere una donna d’ingegno. In realtà ciò che essa inventò, il Secret Communication System (SCS), fu dapprima ignorato e successivamente brevettato a suo nome, con un pizzico di fortuna e dopo infiniti tentativi: il sistema fu alla base per le moderne telecomunicazioni, dalla telefonia mobile ai sistemi informatici wireless. Non male per una diva del cinema… A raccontare, Gabriella è seduta ora sulla poltrona di pelle, su cui è posizionato anche un bauletto contenente oggetti di scena. Mentre parla, spulcia tra le cianfrusaglie e trova… un ventaglio! L’emozione imperversa e le scappa un gridolino “Ah ecco!”, così inizia a sventolarsi un po’ di aria addosso, un lieve sollievo in quella che è probabilmente la serata più calda del secolo, nel locale più caldo di Italia. È tanto esausta che si rivolge a noi del pubblico per chiederci come si chiamasse l’oggetto che tiene in mano sventolandolo davanti al viso, in un momento di confusione: le rispondiamo in coro, poi risate generali e l’ennesimo applauso spontaneo. Si potrebbe dire che questo è il bello del teatro e degli spettacoli dal vivo: tanta spontaneità e il rischio di imprevisti sempre dietro l’angolo. 

Applausi, silenzio, stacchetto musicale. Poi la Greison inizia a parlare, in piedi ed impettita dietro un leggio di metallo, su cui appoggia i fogli da cui legge alcune lettere e passaggi di interesse. È il turno di Emmy Noether, grande matematica tedesca le cui uniche prospettive sembravano essere occuparsi di casa, figli e cucina, ma che non si piegò al suo destino. Intanto il caldo in sala non dà minima tregua; Gabriella fa una battuta sul fatto che neanche legando i capelli la situazione migliora, poi continua a leggere qualche riga: «Beh, il premio Nobel venne dato a Watson e Crick e… ma sapete che c’è!? Che ho sbagliato foglio!» Una risata esplode nella sala e gli applausi partono rumorosamente. Anche questo piccolo errore di scena contribuisce a rendere la serata più familiare. Subito dopo Gabriella attacca a parlare di Rosalind Franklin, quella del foglio sbagliato, chimica e cristallografa a raggi X, nota per aver scattato la famosa “Fotografia 51” di diffrazione che ha dato un contributo imprescindibile alla scoperta della struttura del DNA, la celebre doppia elica. La triste storia di Rosalind, “la scienziata capace di rendere bella qualunque cosa toccasse”, vuole che ad essa non fu assegnato il Nobel per questa scoperta così importante; il premio fu assegnato invece a tre scienziati, pur sempre validi, ma tutti uomini. Ci piace pensare che il suo nome non comparve tra i suoi vincitori in quanto essa morì qualche anno prima… 

Nuovo applauso e nuovo stacchetto musicale, poi l’ultima storia: prima donna ad aver studiato Fisica al Politecnico federale di Zurigo (l’ETH Zürich), prima moglie di Einstein, l’ultima protagonista è Mileva Marić. Razionale e precisa tanto da non saper cogliere il sarcasmo, amante della geometria e dei numeri, della lettura e, a quanto dice la Greison, anche dei treni. La narrazione in questo caso è in prima persona, Mileva stessa attraverso l’attrice narra la sua storia che, come per le altre donne, è piena di difficoltà. Alla fine, Gabriella ritorna sé stessa, madida di sudore e palesemente provata: «Interrompo qui il racconto su Mileva Marić, perché altrimenti staremmo altre due ore e io perderei venti chili… c’è un limite! (ride e ridiamo) Questo racconto in realtà non ha una fine, perché ancora oggi secondo me lei vive delle vite di tutti noi, tutto quello che lei ha vissuto è di buon auspicio a quello che noi siamo e noi saremo. Mi piace lasciare aperta la storia di Mileva…». In breve, conclude informandoci che Mileva non è mai uscita dal politecnico con una laurea; che ha sposato Einstein il quale, nonostante i corteggiamenti, ha probabilmente contribuito a frenarla e a nascondere i suoi meriti; e che su propria iniziativa, Gabriella stessa ha portato la domanda di attribuzione della laurea postuma a Mileva Marić, per provare a dare un segnale forte, in una nazione storicamente maschilista, in un ambiente così patriarcale: ne è nato un movimento mondiale e un impegno collettivo, anche se l’Istituto non sembra ancora voler cedere. 

Chiude il monologo leggendo prima alcune parole di Charles Baudelaire, un inno alla Bellezza, come il locale che ci ospita questa sera, e poi alcune parole sue, che dedica alle straordinarie donne e scienziate di cui ci ha parlato senza sosta per un’ora e diciassette minuti. Battiamo forti le mani: uno scroscio di applausi e fischi inonda la sala. Se non altro il caldo ha di certo reso lo spettacolo unico, una sfida difficile quanto interessante sia per l’attrice che per il pubblico.

Tra le considerazioni a freddo, potrei dire che come spesso accade in situazioni di questo tipo, ampissimo spazio è dato a Marie Curie a discapito delle altre donne. D’altra parte, è anche vero che Gabriella Greison ha scritto un intero spettacolo dedicato a Mileva Marić (“Einstein e io”) e che si impegna molto anche nel concreto per portare alto l’onore e il valore di queste menti raffinate, senza distinzioni e preferenze, colpevoli solo di essere nate bambine, sia storicamente che anche al giorno d’oggi. La strada è ancora in salita, ma dobbiamo fare nostre la tenacia e l’energia che donne come Gabriella Greison ci trasmettono: ognuna di noi, nel nostro piccolo, può fare molto per cambiare il mondo.

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