Intervista a Bruno Arpaia

“La fisica è solo un modo come un altro per esplorare i confini di noi stessi e del nostro mondo, per vivere l’avventura e la passione della conoscenza”

Di : Eugenia Borgia

Bruno Arpaia, scrittore giornalista e traduttore, classe 1957. Laureato in Scienze Politiche, con specializzazione in Storia Americana a Napoli. Inizia la sua attività come giornalista al Mattino di Napoli e  La Repubblica.  Nel 1989 si trasferisce  a Milano dove lavora come giornalista free lance.   Nel 1990 scrive I Forestieri, romanzo che gli permette di aggiudicarsi il premio Bagutta.  Nel 1994 pubblica Il futuro in punta di piedi, e nel 1997 presenta Tempo perso, dove compare la figura del rivoluzionario Laureano, la cui storia si intreccerà con quella del filosofo Walter Benjamin  ne  L’angelo della storia, romanzo  col quale Arpaia   vince  il Premio Selezione Campiello 2001. Nel 2006 pubblica Il passato davanti a noi, dove racconta  le grandi battaglie per i diritti civili, con questo libro Bruno Arpaia vince il Premio Napoli. Nel 2011 pubblica L’energia del vuoto (Guanda). E’ in questo ultimo romanzo che lo scrittore manifesta la sua grande passione per la fisica, raccontando attraverso un thriller politico, il mondo dei fisici delle particelle e la vita che ruota attorno al Cern di Ginevra.

Cosa l’ha spinta a scrivere a livello professionale, c’è stato un momento preciso in cui ha deciso che era arrivato il momento di scrivere, o è stata una scelta maturata gradualmente?

L’ho deciso a 19-20 anni: a un certo punto ho saputo che scrivere era ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella vita. Sapevo che sarebbe stato difficilissimo, e quasi me ne vergognavo, come un peccato di presunzione. Quando mi decidevo a confessarlo a qualche amico, spesso venivo preso in giro. Ma a poco a poco, con tenacia e impegno, ci sono riuscito.

I  romanzi scientifici non sono molto comuni, anzi.  Come è nata l’idea di scrivere un romanzo scientifico.

È dai tempi dell’università (cioè moltissimi anni fa, purtroppo) che mi interesso alla fisica e alla scienza. Se fossi stato meno cialtrone, avrei studiato fisica e non scienze politiche. Ma è andata così, e poi mi sono dedicato alla letteratura. Però, in tutti questi anni, la fisica è stata una mia passione carsica che si è via via rinvigorita, finché, dopo aver scritto Il passato davanti a noi, è diventata una passione travolgente, un’ossessione: quella che ti tiene sveglio la notte, quella che ti deve colpire se vuoi davvero scrivere un romanzo. Forse perché, dopo avere scritto sempre libri basati sulla storia e sulla politica, cercavo qualcosa che indagasse un po’ più a fondo di quanto può fare la Storia. A questo scopo, mi è stato utilissimo venire a contatto con gli scienziati, i giornalisti scientifici e gli allievi del Master della Sissa. Quella mia passione sotterranea per la fisica si è rinvigorita e ho avuto l’occasione di ascoltare seminari interessantissimi, per esempio uno meraviglioso proprio sul Tempo. E per anni non ho fatto altro che leggere tutte le opere di divulgazione, anche abbastanza alta, sulla materia, seguire alcuni interessantissimi blog, scaricare gli articoli che mi interessavano da ArXiv, naturalmente saltando la matematica troppo complicata per me, ascoltare conferenze e seminari dei grandi della fisica, dal vivo e in rete. E, naturalmente, sono stato anche al Cern, dove ho incontrato persone davvero meravigliose.

Sebbene  la sua formazione sia politica e i suoi precedenti romanzi siano di argomentazione prettamente storico- politica; il  suo ultimo romanzo, che  ha riscosso grande  interesse nel pubblico, è un romanzo che parla di fisica. Secondo lei a cosa è dovuto? Può essere considerato come un avvicinamento del pubblico alla scienza.

Certamente sì. Ormai la gente ha capito che la frattura tra cultura umanistica e scientifica non ha senso, ed è anzi dannosa. Ha capito l’assurdità del fatto che oggi, nelle nostre società, si possa essere considerati colti se si conoscono Dante, Mozart, Caravaggio o Platone, ma l’ignoranza su Einstein, Heisenberg o Darwin non viene ritenuta rilevante per determinare il nostro grado di cultura. Del resto, la fisica contemporanea, al di là dei suoi tecnicismi, riservati agli esperti, è tornata a porsi le domande fondamentali, quelle che si ponevano già i presocratici e che assillano noi oggi: che cosa siamo, da dove veniamo, cosa sono davvero la materia, lo spazio, il tempo? La fisica è solo un modo come un altro per esplorare i confini di noi stessi e del nostro mondo, per vivere l’avventura e la passione della conoscenza. Nel corso del XX secolo, infatti, la relatività e la quantistica hanno rivoluzionato il nostro universo e perfino il modo in cui pensiamo alla scienza stessa. Oggi la scienza, esattamente come l’arte, usa molta immaginazione, si occupa sia di verità sia di bellezza, è più incerta, indeterminata: più misteriosa. Insomma, come ha scritto John Banville, «a un certo livello, essenziale, l’arte e la scienza sono talmente vicine che è difficile distinguerle».

L’energia del vuoto rivela al lettore la possibilità di un tempo diverso da quello comunemente percepito, di un “tempo proprio” come lo chiamava Einstein, dove lo spazio non è distinguibile dal tempo. Cosa rappresenta e che valore ha il tempo nella Sua vita?

Il libro verrà ovviamente giudicato dai lettori, ma se c’è una cosa di cui sono soddisfatto è proprio la coerenza tra l’argomento e la struttura del romanzo, tra il tempo, di cui i personaggi discutono, e l’architettura romanzesca. Forse, dice una delle protagoniste del libro, bisognerebbe provare a raccontare mettendo insieme “quanti di narrazione”, minuscoli pezzi di narrazione che, come i loop della gravità quantistica ad anelli, compongono il tempo e lo spazio narrativi, di modo che, seguendo gli insegnamenti della teoria della relatività, ogni lettore abbia il suo “tempo proprio” di leggere il romanzo. E possa “esperirlo” grazie all’arte, visto che nella vita di tutti i giorni non ci è possibile. Nella vita di tutti i giorni, per me, come per tutti, il tempo è quello che faccio dire a Marcello Milanesi (un altro dei protagonisti del libro): sono «le ore e ai giorni che gli scorrevano veloci tra le dita come gocce d’acqua, i suoi acciacchi che si andavano alleando lentamente, le sue macchie scure sulle mani, la pancetta che non riusciva più a tenere a siamo fatti di tempo e, purtroppo, il nostro tempo ha un limite.

Sempre nell’energia del vuoto, ogni storia è legata alla presenza di donne forti. Sembra quasi che siano le donne a portare avanti gli intrecci del romanzo, e gli uomini facciano un po’ da spalla. La visione  che ha della donne nella realtà si può paragonare a quella del romanzo?

Far diventare le donne protagoniste del romanzo è stato un gesto su cui là per là non ho riflettuto, mi è venuto naturale dopo essere stato al Cern. Quella comunità colta e cosmopolita, dove contano l’impegno e il merito, dove le differenze e le provenienze diverse sono apprezzate e non rifiutate, dove il valore delle donne è riconosciuto per ciò che fanno e non per ciò che sembrano o appaiono, mi è parso un modello positivo anche per le nostre società, che invece mi sembrano sempre più chiuse, oscurantiste e incolte. Del resto, è evidente che noi “maschi” siamo un po’ in crisi: le donne acquistano giustamente sempre più protagonismo, si liberano dei vecchi ruoli, e noi dobbiamo fare i conti con un’immagine di noi stessi che è cambiata, è diversa, perfino, o soprattutto, nel nostro ruolo di genitori. Nel mio libro, il rapporto tra Pietro, Emilia e Nico vuol rappresentare proprio queste novità.

Quale  consiglio darebbe  ai futuri comunicatori della scienza?

Di provare a raccontare con passione (anche con le armi della narrazione) le mille e mille appassionanti storie che la scienza racchiude, sia a livello teorico, di ricerca, sia a livello di vita quotidiana. Il mondo della scienza è uno dei pochi mondi ancora pieno di regioni inesplorate, di rotte da tracciare e mete provvisorie, dove la scoperta di tesori è ancora possibile.

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