Radioactive. Recensione del film di Marjane Satrapi

Marjane Satrapi è sempre stata in prima linea con le sue opere sul fronte dell’empowerment femminile ed è per questo che le è stata affidata la regia di questo film, con lo scopo di restituire fedelmente l’immagine di una scienziata donna di grande spessore qual è stata Marie Curie Sklodowska.

Radioactive è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo a fumetti di Lauren Redniss. Mentre il romanzo gira intorno alla storia d’amore tra Marie e Pierre Curie, il film si concentra di più sulla vita della scienziata rivoluzionaria e sulla sua tenacia e perseveranza.
La scrittrice nella sua opera affronta tre temi molto importanti nati con l’inizio del lavoro dei Curie: la proliferazione delle armi nucleari, il ruolo della radiazione nelle cure mediche e il controverso destino dell’energia nucleare nella lotta al cambiamento climatico. Anche se in misura minore, la Satrapi si propone di fare lo stesso nel suo film utilizzando lo strumento dei flashforward. Queste tematiche, infatti, saranno affrontate attraverso “visioni” del mondo futuro: un bambino che negli anni ’50 viene trattato con la radioterapia per un cancro, il momento dello sgancio della bomba nucleare su Hiroshima nel 1945, un’esercitazione nucleare nel deserto del Nevada nel 1961 e l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 1986.

La prima scena del film inizia a Parigi nel 1934. Consumata dai suoi studi e dalle radiazioni dell’uranio, Marie Curie ha un malore nel suo laboratorio, viene portata in ospedale e sul letto di morte ripercorre la sua vita a partire dall’incontro con il suo amato Pierre Curie nel 1894.
Inizia quindi un flashback. In quell’anno Marie, arrivata da poco dalla Polonia, stava portando avanti i suoi studi sulle proprietà magnetiche di vari metalli all’Università della Sorbona, ma il suo atteggiamento e il suo essere donna non erano apprezzati dai professori e dagli accademici e fu quindi cacciata dal laboratorio in cui faceva le sue ricerche. 

Da molti poteva essere giudicata come una donna sfrontata e ostica, ma sicuramente se fosse stata un uomo sarebbe stata trattata in modo diverso. La regista la mette infatti in luce come una mente brillante, decisa e sicura del proprio lavoro; era una vera scienziata e per i suoi tempi una donna molto emancipata. Questo tema andrà avanti per tutto il film e sarà parte fondamentale del suo rapporto e matrimonio con Pierre Curie. 

Dal momento in cui i due si incontrano nasce subito una grande intesa e una collaborazione senza precedenti. Marie inizia infatti a lavorare nel laboratorio di Pierre portando avanti le ricerche insieme a lui. Si focalizza quindi sull’isolamento e sulla concentrazione del radio e del polonio, due nuovi elementi di cui aveva ipotizzato l’esistenza in piccole quantità nel minerale radioattivo chiamato pechblenda.

Vengono quindi raccontati gli infiniti giorni di fatiche sia fisiche che mentali della loro ricerca, le notti passate a dormire in laboratorio e la nascita dell’ossessione di Marie verso la boccetta di polonio che i due coniugi riusciranno finalmente a isolare. 

I loro sforzi e il loro lavoro iniziano a essere riconosciuti a tal punto che i coniugi saranno insigniti del premio Nobel per la fisica nel 1903 per i loro studi sui fenomeni radioattivi. All’inizio il comitato voleva premiare soltanto Pierre ma questi fu avvisato in tempo e con una lettera di reclamo riuscì a far inserire anche il nome della moglie nel prestigioso riconoscimento, consapevole del fatto che senza di lei non sarebbe esistita alcuna ricerca da premiare. Marie riceverà poi un secondo premio Nobel nel 1911 per la chimica, per aver cioè scoperto il polonio e il radio e aver isolato quest’ultimo.

Dall’inizio del film Marie ci viene descritta come una donna cinica, troppo realista, la regista infatti cerca di spiegare questo lato del suo carattere portando la protagonista ad avere visioni ricorrenti del passato, presenti lungo tutta la durata del film. Questi “flashback” sono tutti incentrati sul momento in cui una giovane Maria Sklodowska stava perdendo la madre a causa della tubercolosi e rappresentano quindi l’episodio che segnò nel profondo la bambina che era, a tal punto da farle smettere di avere fiducia nell’amore e nelle persone, fiducia che andò a riporre tutta nella scienza.

Lo stretto e intenso rapporto che si crea con il marito, e che negli anni diventa sempre più forte, è quindi messo in contrapposizione a questo lato di Marie. Lei stessa si rende conto quasi fin da subito che non è più la stessa persona che era prima di conoscerlo, realizza infatti di essere ancora in grado di fidarsi di qualcun altro al di fuori di sé stessa e di amare qualcuno come aveva amato la madre, se non di più.

Amava Pierre talmente tanto che quando questo verrà a mancare a causa di un incidente stradale sarà distrutta. La regista decide di descrivere questo suo stato d’animo facendo avere alla protagonista delle visioni del marito, incorniciate anche dalla presenza di un liquido fluorescente associabile al materiale radioattivo da cui era tanto ossessionata. Da queste immagini quasi inquietanti lo spettatore riesce a percepire lo stato emotivo di Marie, che si sente vulnerabile, persa senza il marito, e allo stesso tempo si sente anche delusa da sé stessa. Si è sempre considerata una donna forte e indipendente ma l’assenza del marito la sta mettendo a dura prova, sia nella vita privata che nel lavoro, rivelando un lato più umano del genio che era.

Gli avvenimenti successivi sono descritti in maniera lineare ma sempre comunque alternati alle visioni di Marie. In questa ultima parte del film si inizia a percepire un forte sentimento da parte della scienziata che è quello della paura. La paura che gli effetti della radioattività siano nocivi per l’uomo, che le sue scoperte e le sue ricerche possano essere sfruttate dall’uomo in modo negativo e con fini spregevoli.

Purtroppo, noi sappiamo che andrà inevitabilmente così la storia, tuttavia nel momento in cui Marie sarà sul letto di morte, verrà consolata da una visione del marito e si spegnerà sapendo che lei è stata quella che ha lanciato il primo sassolino ma che non aveva nessun potere di controllare tutti gli effetti che questo avrebbe avuto nel futuro dell’uomo.

Come ben rappresentato nel film, la figura di Marie Curie Sklodowska segna l’inizio dell’emancipazione femminile, soprattutto nella scienza. Il suo genio indiscutibile ha costretto l’ambito della ricerca scientifica, fino a quel momento prevalentemente maschile, a riconoscere che le scienziate donne non avevano nulla di meno rispetto ai colleghi uomini, sovvertendo le logiche di un contesto da sempre impregnato di maschilismo.

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