La neuroscienza della coscienza

La parola “coscienza” racchiude in se molteplici significati: senso di responsabilità, autoconsapevolezza, o anche capacità di relazione con l’ambiente e percezione dei sentimenti.

Cos’è la coscienza?

Se approfondiamo il tema, possiamo sicuramente intuire come sia un concetto difficile da definire anche a livello fisiologico e non solo semantico. Generazioni di medici, psicologi, filosofi e neuroscienziati si sono arrovellati per cercare di capire quale fosse, e dove si trovasse, l’origine della coscienza umana. Sebbene l’opinione generale della neuroscienza ne situa l’origine nell’attività cerebrale, non c’è un accordo univoco sul dove e sul come. Ci sono parti del cervello più o meno implicate nel processo? Quali sono le connessioni neuronali che propiziano la creazione dell”io”?

Come si studia?

Queste domande sono, per il momento, senza una risposta certa. Le tecniche di studio cerebrale, come la PET o la risonanza magnetica sono infatti in grado d’individuare e monitorare l’attività cerebrale durante azioni concrete, come alzare un braccio, leggere o praticare esercizio fisico. Possiamo quindi definire, a livello fisiologico, un’area prevalentemente deputata alla funzione motoria, linguistica o  sensoriale, per esempio. Molte volte, nel caso di una patologia cerebrale, alcune di queste aree possono essere lesionate, generando una perdita della funzione associata, che può essere recuperata, o no, secondo la gravità della lesione e dell’età del paziente.

Nel caso della coscienza, la domanda non riesce a trovare una risposta a causa della complessità della funzione studiata.  La sua insorgenza potrebbe essere imputabile a un’attività cerebrale basale e non solo di zona. In più, l’evidenza clinica ci mostra che la sua mancanza, a causa di lesioni fisiche, di solito è accompagnata dalla morte cerebrale o da condizioni fisiologiche irreversibili.

Dove si origina?

Fra le teorie più diffuse, Rodolfo Llinás propone che la coscienza emerga dall’attività della corteccia cerebrale modulata dall’attività dei talami. I cicli di attività, detti talamo-corticali, sono bidirezionali e generano una grande attività neuronale basale. Le diverse modalità sensoriali e la nostra capacità di analisi unitaria delle sensazioni percepite culminerebbero creando il mondo visivo, tattile, uditivo e sentimentale che percepiamo ogni secondo della nostra vita. Secondo Llinás, l’unione delle informazioni percepite è temporale e non spaziale: l’informazione percepita in un primo momento interagisce con quella in arrivo successivamente. Per fare un esempio, secondo questa teoria il nostro cervello sta costantemente aggiornando le informazioni sensoriali percepite, e non solo. Le sensazioni non sono personali ma completamente soggettive: colori, suoni e sapori hanno una base meccanica, chimica o fisica ma la percezione è inevitabilmente mediata dal nostro cervello e, quindi, dalla nostra coscienza. Il “profumo di rosa” che percepisce una persona potrebbe essere completamente diverso per un’altra persona.

Gli animali hanno una coscienza? E i robot, l’avranno mai?

Anche se non possiamo avere dati certi, a causa dell’impossibilità di comunicazione, è molto probabile che, anche per gli altri animali dotati di una corteccia cerebrale sviluppata, il processo di “generazione della coscienza” possa essere simile.

E i robot? Potremo mai creare intelligenze artificiali dotate di una coscienza umana? Per il momento la scienza e la tecnologia devono ancora indagare sui processi di base. Nel frattempo, possiamo sicuramente sognare ad occhi aperti e sperare che il cervello positronico ipotizzato da Asimov non sia così lontano come sembra.

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