Organicismo e Riduzionismo: il conflitto apparente

Si potrebbe obiettare al biologo di professione di nascere con il peccato originale del riduzionismo.

Agli inizi del ‘900 la biologia e poi le scienze biomediche si fanno largo non senza fatica nell’interstizio lasciato tra la zoologia e la prima genetica, dalle quali si emancipano come materie dedite al particolare. Scienze del particolare appunto. Questa argomentazione storica, come quella del riduzionismo metodologico di un approccio scientifico bottom-up, insieme all’idea del ruolo privilegiato del gene quale entità causale (determinismo genetico) sono obiezioni che lasciano intuire un conflitto in questa comunità scientifica.

Ci siamo così interrogati con Maurizio Casiraghi, biologo e genetista ma anche zoologo del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca. 

Da questa conversazione sono nate le righe che seguono.

Il problema che sembra essere sorto è quello in seno alla nascita, nella seconda metà dello scorso secolo, delle scienze dette Omichee delle discipline che si avvalgono della modellizzazione dei fenomeni biologici complessi. Le difficoltà e le risposte inattese di un metodo volto a comprendere lo status biologico come relazione tra entità studiate hanno portato alle concezioni separate di trattare questa materia nell’ordine del particolarismo o dell’olismo; poi tradotti nella dicotomia Riduzionismo-Organicismo.

Il fatto che esista questa contrapposizione negli approcci, però non significa necessariamente che ci sia una situazione di conflitto, dove ad esempio un approccio organicista sia la giusta soluzione che salverebbe la biologia dalle colpe di un avido riduzionismo secolare (A. M. Soto, C. Sonnenschein 2018). In questi termini allora potrebbe non essere cambiato nulla dai contrasti tra gli illuministi del vitalismo e del meccanicismo assoluto, ma sappiamo bene che grazie al progresso tecnico nella materia non è così. Ciò a cui abbiamo assistito con i dirimenti contributi di Lamarck e Darwin non è stato forse un’operazione di catalizzazione di lavori riduzionisti in opere che hanno fornito una risposta olistica?

L’attrito che risalta allora è di ordine pratico, cioè della fattibilità procedurale della ricerca che viene tradotta in approccio logico. Le inconciliabili differenze postulate dagli anti-riduzionisti non sembrano tenere conto della praticità della professione del biologo: ciò che potrebbe essere riassunto con la convivenza essenziale di quelle che definiremmo scienza di base e scienza applicata. Ecco che lavori come lo studio dei Master Genes  o la mappatura delle mille specie di batteri nell’organismo umano (senza le quali non potremmo vivere) non sono veramente permeati di una corrente di pensiero, bensì da necessità operative che trovano migliori risposte in un sistema particolare e necessariamente riduzionista, come il primo, o olistico, nel secondo.

Il reale rischio, percepito come conflitto logico, sta nel possibile squilibrio tra le pratiche della biologia. Ma come esiste una stretta dipendenza tra la ricerca e le scienze di base e quelle applicate, l’organicismo non potrebbe avvalersi delle sole risorse di un approccio olistico della scoperta in quanto fondato su ricerche applicate le quali, a loro volta, spesso attingono dal pool delle conoscenze di base. Il riduzionismo non è il problema da risolvere mediante un approccio organicista, quanto piuttosto l’indicatore per puntare ad un equilibrio dinamico diretto verso il progresso del metodo.

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