Esperienze di cittadinanza scientifica a confronto

“Alla ricerca della cittadinanza scientifica”, il convegno conclusivo del master MACSIS che si è tenuto all’Università Milano-Bicocca lo scorso 11 novembre, è stata l’occasione per fare il punto su un aspetto particolarmente attuale della società della conoscenza: il rapporto fra cittadini e scienziati. Ispirato alla figura del giornalista e storico della scienza Pietro Greco, scomparso prematuramente nel 2020, l’incontro ha infatti voluto mettere a confronto cittadini, attivisti e ricercatori di diverse discipline, per esplorare il continente della “cittadinanza scientifica”.

La tavola rotonda iniziale, che ha coinvolto Angelo Tartaglia (Politecnico di Torino), Andrea Saltelli (Centre for the Study of the Sciences and the Humanities, University of Bergen, Norvegia), Elena Gagliasso (Università La Sapienza, Roma), Fabrizio Bianchi (IFC – CNR, Pisa) e Andrea Cerroni (direttore MaCSIS, Università Milano-Bicocca), ha subito affrontato il paradosso che vede la ricerca scientifica come centrale nella attuale “società della conoscenza”, ma spesso ancora impermeabile alle sollecitazioni di una partecipazione da parte della comunità. Oggi più che mai la nostra società, in piena crisi climatica e ambientale, avrebbe bisogno di uno scambio partecipe – addirittura di una co-produzione scientifica in cui gruppi e cittadini possano dare un loro contributo fin dalle fasi iniziali dei progetti di ricerca. Ma questo implicherebbe una trasparenza, una attitudine al dialogo e una indipendenza dalle pressioni economiche che – secondo i relatori della tavola rotonda – al momento non è ravvisabile nella comunità scientifica. E d’altro canto, è ancora utopico immaginare una cittadinanza in senso lato formata a questo tipo di partecipazione.

Eppure, nonostante gli ostacoli che ancora si frappongono a questa alleanza fra scienza e società, le testimonianze che si sono susseguite nella giornata hanno mostrato diversi modi in cui questa “cittadinanza scientifica” è già all’opera.

Una prima forma di partecipazione si manifesta nella raccolta e interpretazione dei dati, per esempio in campo ambientale. Anna Gerometta, fondatrice di Cittadini per l’aria, ha ricordato i vantaggi di una scienza partecipata in cui gruppi di cittadini, supportati da ricercatori esperti in grado di restituire il significato dell’enorme quantità di dati raccolti ogni giorno, nel suo caso sulla qualità dell’aria della città di Milano, può essere uno strumento per ottenere una risposta da chi amministra le città. Coinvolgendo i volontari nel posizionare particolari sensori per il monitoraggio del biossido d’azoto, è stato possibile controllare la qualità dell’aria di abitazioni, scuole e luoghi di lavoro in modo più capillare di quanto non facciano normalmente le poche centraline pubbliche. La possibilità di raccogliere dati in prima persona e avere a disposizione esperti per spiegare quei dati è stato il modo in cui i cittadini hanno aperto il confronto con le amministrazioni per chiedere un’azione concreta per migliorare la qualità della propria vita. 

Un altro esempio di azione civica sui dati che riguardano la qualità ambientale del territorio è rappresentato dal lavoro svolto da Cittadini Reattivi, la cui presidente Rosy Battaglia ha parlato durante la mattinata. Fautrice del giornalismo civico, Rosy si è sempre battuta affinché i dati della scienza siano liberi e comprensibili dai cittadini. In apertura ha ricordato il messaggio di Pietro Greco che poi racchiude il motto della sua associazione: “La cittadinanza scientifica è un esercizio informato dei diritti di cittadinanza”. Grazie anche a cittadini reattivi, con la campagna Freedom for information act partita dalla società civile, a partire dal 20 maggio 2016 i cittadini italiani hanno ottenuto il diritto di accedere a dati e documenti della Pubblica amministrazione. Da segnalare il docufilm da loro prodotto (Io faccio finta di niente, Qui il trailer), esempio di cosa può fare una cittadinanza attiva che richiede un’azione concreta.

Anche la semplice scelta di una lampadina può diventare un’azione di cittadinanza scientifica, come ha ricordato Patrizia Caraveo, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). I sistemi di illuminazione delle nostre città spesso impediscono l’osservazione del cielo sia da parte degli scienziati che dei cittadini stessi. La scelta quindi di impianti meno impattanti perché diretti verso il basso, rivendicata in alcune città dalla stessa cittadinanza, va a beneficio sia degli insetti e di altri animali notturni sia del benessere della popolazione.

La crisi climatica è un altro ambito naturale in cui esprimono varie forme di attivismo e cittadinanza scientifica, come ne caso del movimento Fridays for future. Un tema molto dibattuto riguarda in particolare come comunicare questa crisi in modo da sensibilizzare e spingere all’azione il maggior numero di persone possibile. E’ questo l’argomento trattato da Simona Re, comunicatrice scientifica che fa parte di Climate Media Center Italia. «Attenzione massima alle parole che usiamo, quando parliamo – ha detto fra l’atro Simona Re.- Ma tenendo conto sia del rigore sia della comunicabilità. Perché solo il giusto equilibrio tra queste due dimensioni può rendere la comunicazione in campo climatico davvero efficace». Per fare questo ci vengono in aiuto due risorse citate dalla relatrice: il sito Climate visual  e un testo appena uscito intitolato “Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico” a cura di G. Latini, M. Bagliani, T. Orusa.

A volte sono gli stessi ricercatori che sentono il bisogno di coinvolgere la popolazione. Una tendenza questa particolarmente diffusa nei progetti di conservazione della natura. Laura Scillitani, zoologa che lavora nel Parco nazionale d’Abruzzo e in altri progetti, ha ricordato alcuni siti internet come INaturalist Mammalnet che si basano proprio sulla tutela e segnalazione volontaria della fauna selvatica da parte di cittadini opportunamente formati per questo tipo di lavoro. Un esempio di scienza partecipata è anche il progetto Life Wolf Alps – per il quale Laura lavora come communication manager -che ha lo scopo di proteggere il lupo e migliorare la sua coesistenza con le popolazioni locali.

Un’altra esperienza ci è stata raccontata da Domenico D’Alelio, ricercatore presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn e Alessandra Pugnetti (ISMAR – CNR, Venezia), protagonisti dell’originale iniziativa dei “cammini ecologici” organizzati da LTER- Italia, la rete italiana per le ricerche ecologiche a lungo termine. (Per approfondire consigliamo il sito http://www.lteritalia.it/cammini2019 e questo video). Lo scopo di questi “cammini lenti” è stato quello di osservare e raccontare le connessioni tra luoghi delle ricerche ecologiche e chi li abita. Comunicare per loro non è consistito solo nello sviluppare linguaggi nuovi, ma anche nell’accogliere il punto di vista di persone che vivono la natura da prospettive diverse da quella prettamente scientifica.

Comunicare la scienza significa anche mettersi in gioco impegnandosi in un dialogo diretto con i fruitori stessi della comunicazione. E’ questo il caso anche della nota giornalista di salute Roberta Villa, che ha trovato nei social – in particolare su Instagram – la sede ideale per parlare di Covid-19 e vaccini in modo accessibile, rigoroso ma anche rispettoso delle sensibilità e timori del pubblico. Oltre a contrastare la disinformazione molto diffusa riguardo alla pandemia, Roberta si è avventurata infatti in dialoghi diretti, per esempio con chi fra i suoi 250.000 follower manifestava paure e perplessità verso la vaccinazione, sfruttando l’opportunità offerta da Istagram di invitare a intervenire alcune spettatrici nelle sue dirette video. Segnaliamo a questo proposito il progetto QUEST, a cui ha lavorato anche Roberta Villa, su cui potete trovare tutti gli strumenti per capire come fare comunicazione scientifica sui social media.

In questo incontro dedicato alla cittadinanza scientifica non poteva mancare anche la prospettiva di chi si occupa di educazione. Luisa Zecca, docente di didattica e pedagogia speciale presso Università Milano-Bicocca, lo ha fatto nel modo migliore parlando della profezia che si autoavvera in ambito di comunicazione scientifica: se il non esperto viene trattato come colui che non sarà mai all’altezza di capire la complessità della ricerca, allora lui stesso si comporterà in questo modo. Nei progetti che segue è essenziale insegnare, soprattutto ai bambini, educare alla partecipazione, imparare a formarsi uno spirito critico, formare valori e atteggiamenti come l’apertura all’alterità culturale e abilità come l’empatia.

La ricca carrellata di testimonianze di scienza partecipata ha trovato una sintesi in una discussione a più voci. Paola Zaratin (direttrice scientifica della Fondazione italiana sclerosi multipla – FISM), impegnata a sua volta in vari progetti di coinvolgimento di pazienti nella ricerca, ha sottolineato che tutti gli eventi della giornata hanno messo in mostra quando la multidisciplinarietà sia un valore aggiunto al dialogo tra scienza e società, e diventa oggi un elemento da tenere in conto per il futuro. Alba L’Astorina, IREA – CNR si è chiesta se prima di interrogarsi sul futuro della cittadinanza scientifica non sia necessario fermarsi a riflettere sul tipo di scienza che vogliamo nel futuro, sulla base della quale poi si strutturerà la relazione tra scienziati e cittadini. Valentina Amorese, che lavora inFondazione Cariplo sui progetti di Ricerca e Innovazione Responsabile, ha portato la sua esperienza e ha confermato che nei progetti finanziati dalla fondazione ora comincia ad essere richiesto come elemento essenziale lo sforzo da parte dei ricercatori di aprire un canale di dialogo con la cittadinanza sui temi complessi dei loro studi. Un esempio di questa complessa attività di comunicazione  nel campo dei rischi ambientali è il progetto CISAS raccontato da Liliana Cori (IFC – CNR, Pisa), che ha proposto anche la creazione di un istituto indipendente dedicato alla comunicazione, per superare la naturale diffidenza fra scienziati e cittadini. Sul tema della fiducia, dell’ascolto reciproco come presupposto per cercare di colmare il divario di competenze fra esperti e pubblico laico è tornata anche Sara Calcagnini, responsabile public engagement del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano, nell’intervento conclusivo della tavola rotonda.

Se ripercorriamo la giornata emergono alcune parole chiave fra cui coinvolgimentorispettoaccessibilitàeducazione. Le stesse emerse del sondaggio realizzato dagli studenti del MaCSIS su un campione di 102 persone e riportato in questo articolo da Matilde Schirru, ricercatrice CNR e studentessa del master. Segno che c’è un terreno fertile su cui lavorare per rendere la scienza più partecipata, e per fa sì che anche la comunità scientifica consideri il dialogo con i non esperti come un arricchimento e non un ostacolo alle proprie ricerche. Diceva qualcosa di simile anche Pietro Greco, in uno dei suoi numerosi articoli dedicati a questo tema: «Viviamo in un mondo sempre più segnato dalla conoscenza scientifica e dall’innovazione tecnologica. Abbiamo quindi bisogno di estendere la cittadinanza scientifica. Non sappiamo ancora mettere a fuoco con sufficiente definizione di dettaglio il concetto di cittadinanza scientifica. Sappiamo, però, che a ogni livello – culturale, sociale, politico ed economico – implica partecipazione ed estensione della democrazia, formale e sostanziale. E implica comunicazione. Pubblica, trasparente».

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