Scienza e Società insieme nella comunicazione. Parte 2

Comunicare la scienza in scienza e coscienza

Quando entra in gioco la comunicazione mediata, ci si muove in un campo diverso dalla comunicazione istituzionale: ognuno ha un suo stile, delle influenze e delle credenze che porta con sé quando comunica. Un comunicatore ha, però, un grande potere: orientare e spesso modificare l’opinione della gente, arrivando anche a indirizzare decisioni politiche.

E da un grande potere derivano grandi responsabilità.

Quando si occupa di scienza, la comunicazione ha la responsabilità di informare, far riflettere e, quando possibile, fare comunità intorno alla conoscenza scientifica.
Questo non vuol dire creare il “partito della scienza”, a cui possono accedere solo i laureati o gli appassionati, ma rendere ogni cittadino partecipe della scienza, delle sue scoperte e dei suoi fallimenti.

Comunicare la scienza non è comunicare la verità

In un mondo dove tutto è dato per certo e scontato, dove la presenza di un errore presuppone l’esistenza di un colpevole da processare, l’incertezza e l’errore sono ancora i motori principali che muovono la scienza verso nuove scoperte. Un comunicatore responsabile deve prendere atto di questi aspetti e farsi carico di trasmetterli nella sua interezza: è per questo che una notizia scientifica deve essere considerata momentanea e falsificabile. Un esempio su tutti: per mesi abbiamo detto a più riprese che la COVID-19 non veniva trasmessa dagli asintomatici, ci siamo prima ricreduti e, quindi abbiamo fatto nuovamente marcia indietro. Ad oggi, non è ancora chiaro se gli asintomatici siano un vettore di contagio, nonostante sia stato detto molto a riguardo. Questa considerazione ci porta ad un primo punto fondamentale per una buona comunicazione scientifica: evitare titoli sensazionalistici che lancino verità assolute. Un esempio pratico proviene dall’intervista a Giuseppe Remuzzi, uscita sul Corriere della Sera lo scorso 20 giugno.

Nel suo intervento, il professore affronta proprio il tema della contagiosità di coloro che non presentano sintomi.
E’ un argomento che possiede molte sfumature: anche parole come asintomatici, presintomatici o paucisintomatici hanno significati che devono essere inquadrati nel giusto contesto. Basta questa considerazione per capire che il titolo «I nuovi positivi non sono contagiosi, stop alla paura» non è solo sbagliato, ma anche pericoloso. Roberta Villa, in un suo intervento sui social, lo analizza così.
Sintetizzare il discorso in questo modo fa pensare che il punto non siano le caratteristiche cliniche del paziente (quali sintomi ha, quando sono comparsi, quando sono finiti), ma il fatto che oggi (“i nuovi”) il fatto di essere positivo non implichi comunque contagiosità, anche se un paziente sta male. Questa idea, che ricalca le fantasiose ricostruzioni sul virus “diventato buono”, “clinicamente scomparso” o che soccombe al calore (citofonare Egitto o Arabia Saudita) è una gravissima fake, che può spingere persone sintomatiche a ignorare i propri disturbi o i loro curanti a non controllarli: “se tanto, una volta positivi, non contagiano più, a che serve bloccarli in casa?”.  
La verità assoluta lanciata da un titolo esemplificativo di una materia tanto complessa porta i lettori a non interessarsi all’intervista completa, non chiede loro lo sforzo di leggere l’articolo completo: le informazioni importanti si perdono ed è il solo titolo a generare notizia.

Comunicare la scienza è fare slow journalism

Se da un lato è vero che bisogna sempre mantenersi fedeli a sé stessi e al proprio stile, è altrettanto importante lavorare con serietà e rispetto. Rispetto per il proprio ruolo, per le istituzioni e per il pubblico che si aspetta di conoscere la verità dei fatti e di essere messo al corrente delle ultime novità.
In una situazione di emergenza come quella che sta colpendo il mondo nel 2020, questa forma di rispetto dovrebbe essere ancora più curata, avendo anche in mente che viviamo in un mondo iperconnesso e che chiunque può avere accesso ad una notizia con una rapida ricerca in internet. Questo aspetto si traduce in un secondo punto cardine della buona comunicazione scientifica: una notizia deve essere sempre supportata da fonti attendibili e da prove. Per capire al meglio cosa si nasconde dietro le quinte della comunicazione scientifica, abbiamo raggiunto i curatori del blog valigia blu, che, dal 2010, sono un ottimo esempio di informazione di qualità.

Cosa è valigia blu e qual è il suo scopo?
E’ un blog collettivo, il cui scopo è di contribuire, nel nostro piccolo, a creare senso dove c’è rumore. Dare un contributo all’ecosistema informativo in termini di approfondimenti, controllo e verifica delle notizie.

Nel mondo iperconnesso a cui siamo abituati, ci arriva, in maniera incontrollata, qualsiasi tipo di notizia/fatto/opinione. Come vi orientate in un simile labirinto per verificare una notizia?
Le fonti sono fondamentali, ci sono fonti più affidabili e credibili di altre: per fare un esempio molto semplice The Guardian o The New York Times sono certamente più affidabili di testate come Libero o il Giornale, o canali e blog di matrice chiaramente complottista. Questo non significa fidarsi ciecamente. Ogni fonte va comunque controllata e sottoposta a verifica, cercando di incrociare più fonti e soprattutto verificando la fonte primaria.

Studiare e verificare una notizia richiede tempo, pazienza e risorse. In un giornalismo dove si corre a pubblicare per primi, voi, invece, camminate circospetti. Come gestite questa infinita ricorsa alla notizia?
Semplicemente non partecipiamo alla rincorsa alla notizia. Noi non copriamo e non ci interessano le Breaking News. Ci interessa contestualizzare, approfondire, capire. Questo significa prendersi tutto il tempo che serve per offrire contenuti completi, documentati, verificati. Arrivare primi per noi non è un obiettivo o un valore.

In un clima in cui tutti cercano risposte certe e inconfutabili dalla scienza, quanto è importante comunicare l’incertezza e come la si può comunicare correttamente?
Semplicemente la stessa scienza insegna il dubbio e l’incertezza. Comunicare la scienza significa comunicare come la scienza procede nell’elaborazione della sua conoscenza e non dare nulla per definitivo ma come un processo.

La scienza ha bisogno del cittadino

Il rispetto verso il proprio pubblico implica anche avere il giusto atteggiamento nei suoi confronti: quando si comunica il rischio, un lettore potrebbe avere reazioni emotive quali paura, smarrimento e rifiuto. E’ fondamentale, quindi, rendere semplici le informazioni, senza mai banalizzarle e trasmettere il chiaro messaggio che un problema complesso necessita di soluzioni complesse da ottenere con pazienza, ricerca e collaborazione.

In questo senso, la citizen science ci fornisce un grosso aiuto: una buona comunicazione può dare al cittadino gli strumenti per diventare parte attiva della ricerca, condividendo dati e informazioni vitali ad una rapida crescita della conoscenza scientifica. Avvicinare un cittadino alla scienza implica trattare con attenzione le controversie: la comunità scientifica è composta da persone con opinioni e interessi assai diversi tra loro. Sarà quindi impossibile trovare il pieno consenso su una teoria o l’interpretazione di un dato. E’ anche vero, però, che alcune teorie sono appoggiate dalla grande maggioranza della comunità scientifica a cui fanno da contraltare poche voci fuori dal coro.

E’ quindi necessario che il consenso sia ben comunicato, evitando di creare scontri tra fazioni: mettere in piedi, ad esempio, un dibattito tra un medico pro-vax e uno no-vax, porta a pensare che la comunità scientifica sia spaccata a metà su posizioni diametralmente opposte, quando, invece, risulta evidente come i medici no-vax siano una minoranza e come la maggioranza della comunità scientifica appoggi posizioni pro-vax. All’opposto, questo punto non può sfociare nel dogmatismo e nella censura: è necessario ascoltare e valutare le posizioni delle minoranze, soprattutto quando queste portano argomentazioni valide supportate da prove solide. E’ qui che si trova il sottile confine tra colui che porta avanti una nuova teoria e chi, invece, ha un atteggiamento antiscientifico o pseudoscientifico. Un comunicatore ben attrezzato e un cittadino ben guidato sanno muoversi lungo questo confine.

Il risultato di una buona comunicazione scientifica è un pubblico coinvolto e responsabile, libero di fare le proprie scelte ma consapevole dei rischi per sé e per gli altri, una comunità scientifica aperta alla società e un comunicatore che sa essere ponte tra le due realtà. La pandemia di COVID-19 ci sta dando una lezione importante: se sapremo mettere a frutto questo insegnamento, potremo gioire tutti per una bella vittoria.

Fonti e approfondimenti
https://www.facebook.com/lavillasenzavirgola/posts/1309581362564918?__tn__=K-R h
https://www.instagram.com/p/B9oEaGNBJO8/?utm_source=ig_web_copy_link
http://prosopopea.com/2017/01/14/come-comunicare-la-scienza-efficacemente-un-bigino/
https://www.lescienze.it/news/2020/02/24/news/come_parlare_del_coronavirus_in_modo_responsabile-4685273/

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Autore:Riccardo Lucentini

Nato a Foligno nel 1989 e laureato in Chimica nel 2013. Dopo alcuni anni passati a fare il topo di laboratorio, mi impegno a divulgare la mia materia tramite laboratori e conferenze. Iscritto al Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile (MaCSIS) all’Università Milano-Bicocca per fare della mia passione una professione

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